mercoledì 19 marzo 2014
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Il sorriso è lo stesso di venti anni fa, quello sfoggiato sul podio olimpico di Lillehammer. Anche il fisico e la grinta di Manuela Di Centa, 51 anni, non sono mutati rispetto a quando con gli sci ai piedi primeggiava sulle piste di fondo di tutto il mondo. «Ho ricevuto tanto da questo mondo e voglio restituire qualcosa. Il modo migliore per farlo? Mettermi a disposizione», afferma l’ex campionessa dello sci di fondo, che tradotto in termini pratici corrisponde alla candidatura per la presidenza della Federazione Italiana Sport Invernali. Le elezioni si terranno a Bologna il 12 aprile, sulla scheda oltre al suo ci saranno i nomi di Pietro Marocco e di Flavio Roda, l’attuale presidente della Fisi ed ex tecnico di Alberto Tomba. Sarà uno scontro fra sci di fondo e sci alpino? «Non vedo queste elezioni come una “guerra”, non concorro contro qualcuno. Ho le mie idee e i miei obiettivi. So cosa posso dare». Da dove comincerebbe?«Dai bambini. Bisogna riuscire a dare loro la possibilità di conoscere e amare la neve. E di sognare. Se non troviamo bambini che si approcciano allo sci non troveremo nemmeno i campioni. Io ero una di quelle bambine». Come si possono avvicinare i più piccoli?«La federazione deve essere l’interlocutrice principale delle scuole primarie, almeno nelle zone montane dove i ragazzi spesso si indirizzano verso altri sport». Quello di entrare nelle scuole è il proposito di quasi tutte le federazioni. «Bisogna avere una grande attenzione su questo tema perché quello della scuola è il primo grande bivio per un atleta. Bisogna utilizzare di più i licei a indirizzo sportivo e gli ski college. È un argomento che sento da tempo, tanto che mi sono prodigata per far inserire nella riforma universitaria i crediti formativi per chi vince titoli nazionali o internazionali. Non siamo certo al livello delle università americane, che si contendono gli atleti più forti, ma qualche passo avanti lo abbiamo fatto. L’accordo con lo Iusm di Roma ha dato agli atleti la possibilità di frequentare le lezioni via telematica. Questo è un problema che ho vissuto sulla mia pelle: da giovane ero sempre sul cucuzzolo della montagna ad allenarmi e non ho avuto la possibilità di studiare. E ora non mi vergogno di dire che sono una studentessa». Una grande attenzione per temi sociali più che agonistici.«Se è per questo ci sarebbe anche la tutela della maternità. È una vergogna che oggi una atleta sia ancora costretta a scegliere, perché avere un figlio spesso significa smettere di gareggiare».È la prima donna candidata alla presidenza della Fisi e una delle pochissime che abbiano tentato la scalata in una federazione.«Come in tutte le cose l’equilibrio di genere va visto come una ricchezza maggiore e l’Italia ha questa ricchezza ancora da sfruttare». Parliamo di quote rosa anche nello sport?«Non credo alle quote. Ma se la testa è sempre maschile tutto si riflette al maschile. Vorrei fare da apripista come ho già fatto nel Coni e nel Cio».Lei ha sintetizzato il programma in cinque punti, come i cerchi olimpici.«Sono l’essenza di come vorrei intervenire per far cambiare velocità alla federazione ed è proprio questo uno dei punti, che ho chiamato Fisi 2.0, per sintetizzare l’esigenza di utilizzare i nuovi strumenti per sveltire pratiche e rapporti. Credo ci sia un mondo che abbia voglia di partecipare e il web è lo strumento ideale. Uno strumento democratico: on line si potrebbe partecipare alle riunioni e perfino votare, evitando inutili e lunghi trasferimenti». Un altro punto chiama in causa gli atleti.«L’atleta è il cuore di tutto il nostro impegno. Dobbiamo imparare ad avere attenzione per tutti gli affiliati. L’atleta bravo deve avere un’attenzione particolare, non possiamo permetterci di perdere i talent, e vanno aiutate anche le loro famiglie. Ma non dobbiamo nemmeno trascurare gli amatori, i “patascioni”. C’è tutto un mondo che deve essere seguito». Come la “base”?«Un altro punto fermo del mio programma, parlare agli sci club, alle associazioni e ai gruppi sportivi militari. Spero siano i miei alleati. Devono maturare, capire che il loro voto conta e pretendere di essere ascoltati, perché il presidente deve rispondere prima di tutto a loro».Lei mette l’accento sulla sua leadership.«Non viene solo dal mondo dello sport, ma anche dalle mie altre esperienze, come la politica. Una federazione deve avere capacità di dialogo con altre istituzioni, come i ministeri. È questa la leadership. Ma con il leader da solo non si va da nessuna parte, deve raccogliere intorno a sé un grande team. Anche il campione per vincere ha bisogno di una squadra».E lei ce l’ha già questa squadra?«Non ancora. Vorrei che le società, prima ancora che i comitati, scelgano le persone migliori del territorio per rappresentarli: formeranno loro la mia squadra».Nei punti programmatici parla anche di cuore. È un vezzo femminile per la sua candidatura?«Bisogna ritrovare la passione e tornare ad avere un cuore anche nella vita “burocratica”. A Sochi mi ha fatto male vedere i ragazzi demoralizzati perché nessuno li andava a trovare a causa della mancanza di risultati. Nessuno dovrebbe essere emarginato per questo motivo. I conti si fanno alla fine del quadriennio. Gli atleti vanno rispettati non lasciati soli. È importante avere una federazione unita, non litigiosa. Anche senza ori. Nella nostra squadra si discuteva animatamente ma sempre in modo costruttivo. E gli atleti non vanno lasciati soli nemmeno dopo che hanno smesso di gareggiare. Bisogna pensare a come reintegrarli nel mondo del lavoro. Ho già dei progetti per non far sentire quel senso di disagio che si prova nel non riuscire a trovare lavoro dopo aver dato molto per i colori azzurri». Lei venti anni fa conquistò 5 medaglie olimpiche, era l’apogeo del nostro sci di fondo che ora sembra in forte declino.«Anni fa anche la Svezia si trovava nelle nostre condizioni, ma hanno trovato la strada per riemergere. È una ruota. Ricordo quando eravamo solo in tre, con me c’erano la Canins e la Dal Sasso. Nell’82 arrivai ottava ai Mondiali e tutti si meravigliavano, si chiedevano da dove venivo visto che non c’era nemmeno la squadra. Ora la squadra c’è ma bisogna lavorare molto per riorganizzarla».Lei ha vinto molto ma Donati nel suo libro ha ipotizzato un suo coinvolgimento nel sistema doping di Conconi.«Su quel libro c’è una diffida. Io ho la coscienza pulita e il processo contro il professor Conconi lo ha ribadito: non è emerso nessun mio coinvolgimento o responsabilità».
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