martedì 8 gennaio 2013
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Se la cultura fosse un elemento chimico, il passaggio da uno stato solido a uno stato liquido e infine a uno gassoso rientrerebbe nell’ordine delle cose. Le transizioni di fase in ambito culturale, invece, parrebbero fuori luogo; eppure qualcosa del genere, nella nostra epoca, sembra proprio verificarsi. Le prime incrinature nella solidità di principi, certezze e valori furono disegnate dal cosiddetto «pensiero debole». Eravamo nei primi anni Ottanta. Di lì a poco avvenne il passaggio da una solidità ormai compromessa a uno stato di «liquidità». A Zygmunt Bauman si deve il merito di aver avvistato per primo il fenomeno e di averlo ispezionato, con una serie di titoli un po’ compulsivi, nei vari aspetti: Modernità liquida (2000), Amore liquido (2003), Vita liquida (2005), Paura liquida (2006), Tempi liquidi (2006) La cultura nel mondo liquido moderno (2011). Ebbene, non siamo ancora riusciti ad assimilare tutte le implicazioni di questo cambiamento che già si intravede una nuova fase della cultura: quella gassosa, rarefatta, astratta, evanescente. Come spesso accade, sono le giovani generazioni – e i loro oggetti – ad acclimatarsi per primi nei rapidi mutamenti. I giovani sono tutt’oggi insaziabili ascoltatori di musica e avidi consumatori di film, eppure nelle loro camerette nessuna traccia di long-playing in vinile, cd, videocassette o dvd: tutto sparito negli spazi non fisici di memorie artificiali richiamabili a comando da qualche dispositivo digitale di dimensioni spesso assai piccole. Il vagheggiato sogno di Richard Feynman del 1959 di immagazzinare tutta l’Enciclopedia Britannica – simbolo dello scibile umano – in una capocchia di spillo (letteralmente, «nel più piccolo pezzo di polvere che l’occhio umano possa distinguere») sta per essere raggiunto e superato. Tutta la musica, le immagini, le parole prodotte dagli esseri umani aleggeranno, gassosamente, in quella cloud che rappresenta al meglio lo stato di dematerializzazione della nostra cultura attuale e prossima ventura. Questa, però, è solo la punta. Anche l’economia, ad esempio, sommessamente dà segni di gassosità. A livello macro, non è infrequente l’apparire di fluttuanti «bolle speculative» (altra espressione indiziaria) che si formano aeriformemente (su flatus vocis) e poi scoppiano nel nulla. E a livello di bilancio familiare, l’accorgersi della sparizione fisica del denaro è ancora più diretta. Non tanto perché lo stipendio – detto come battuta – si dilegua rapidamente dal portafogli sotto il carico fiscale e l’aumento dei prezzi, quanto piuttosto perché, con il tetto al pagamento in contanti, ogni operazione bancaria e ogni ordinaria transazione assume sempre più la forma di un semplice movimento di elettroni su circuiti magnetici o telematici. Denaro astratto. E se la politica ha introdotto, per legge, la dematerializzazione di molti documenti cartacei nella Pubblica Amministrazione, altri la stanno imponendo, di fatto, in luoghi impensabili. Eric Topol, uno dei leader della medicina wireless, ha lanciato il segnale con The Creative Destruction of Medicine (Basic Book 2012, preferibilmente in versione eBook). Il nuovo paradigma è: ridurre anche la carne e il sangue in pattern informazionali, valori percentili, big (o little) data. Invisibili sensori al posto dell’antiquato stetoscopio (troppo "materiale" per i gusti vigenti) raccoglieranno i dati; processi di computing espleteranno le previsioni di salute (sul modello delle previsioni meteorologiche) e processi di imaging compiranno la perfetta simulazione del nostro corpo. Fantasmatica e impalpabile, come i tempi esigono. Si profilano giorni davvero bizzarri se Rohit Talwar, della Fast Future Research, avverte che il futuro dello «sballo del sabato sera» avrà la forma di discoteche che rilasciano in aria, a comando, nanoparticelle con effetti psicotropi, che il pubblico inalerà indistintamente. Anche le "sostanze" stupefacenti si de-sostanzializzano, e ancora strani fenomeni nebulosi si addensano sopra le nostre teste. E dalle stanze delle stesse scienze "dure" (così almeno finora parevano essere) si levano voci che minano un altro simbolo della consistenza del mondo: il modello di riferimento dell’unità di misura del chilogrammo, ovvero il cilindro di platino iridio conservato in un sotterraneo dell’Ufficio dei pesi e delle misure a Sevres, dopo più di un secolo di onorato servizio, sta per andare in pensione. Al suo posto, una cifra: il numero di atomi presenti in una sfera di silicio dello stesso peso. Per quanto ancora l’effigie della Giustizia che campeggia nei tribunali sorreggerà, stentorea, l’equa bilancia? Come curiosità, l’ultima unità di misura ad essere "liberata" dalla pesantezza della massa era stata la barra di platino designante il metro, ormai rarefattasi nella distanza percorsa dalla luce nel vuoto in 1/299792458 di secondo. Non c’è da sorprendersi, dunque, se nei vari consessi e dossier e forum che negli ultimi tempi sono abbondantemente germogliati sulla domanda what is reality made of? («Di cosa è fatta la realtà», ad esempio: World Science Festival 2011), a risuonare maggiormente non è la parola "materia", e neppure "particella subatomica" o "stringa", ma il più effimero ed olografico termine di "informazione" (il fisico atomico H. Pierre Noyes azzarda perfino una «teoria delle bit-string»). E il concetto di "informazione" non fuoriesce per caso nel nostro contesto in cui «la materia è diventata nebulosa e transitoria» (Roger Penrose).
Certo, se vigessero ancora, in filosofia, le categorie sette-ottocentesche, al recedere della Materia corrisponderebbe un avanzare dello Spirito, in ossequio ad un binomio culminato nell’hegelismo. Nella contemporaneità, invece, il ritrarsi della Materia favorisce un propagarsi non dello Spirito, ma dell’Informazione (nuova veste del dualismo aristotelico materia-forma). Un concetto – quello dell’informazione – che si va affermando, dirompentemente, in tutte le sfere del sapere (si parla di informazione genetica, elettrica, quantistica, digitale, biologica …) e che forse è da riconoscere come il maggior responsabile dell’evaporizzazione della cultura da cui siamo partiti. Lo statuto dell’informazione, effettivamente, apre a una dimensione ontologica nuova, promettente, seppur ambigua: l’informazione è incorporea e astratta, ma non appartiene al regno dello Spirito o del Razionale (spiritualità de-sacralizzata?); rientra nell’euristica scientifica, ma nell’ottica di una fisica «post-oggettuale» (materialismo smaterializzato?). Il terzo stato della cultura si è preannunciato, lasciando trasparire un (nebuloso) dominio ontologico in gran parte inesplorato: un compito interessante per scienziati, filosofi e teologi.
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