mercoledì 29 aprile 2020
Netflix, il successo di “Unorthodox”: la 19enne americana Esty, ebrea chassidica fuggita in Europa per rifarsi una vita. Ma anche “One of us”, “Kalifat” e la storia di “Layla M.”
Una sequenza della serie tv “Unorthodox”

Una sequenza della serie tv “Unorthodox” - Archivio

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L’integralismo religioso si combatte mettendone a nudo contraddizioni, disumanità, strabismi. È questo il pensiero sotteso ai numerosi film, documentari, serie e mini–serie a disposizione on demand in questo periodo e dedicati ai radicalismi confessionali. Così, su Netflix, Unorthodox, mini–serie “gioiello” in quattro puntate, è diventata un caso internazionale, di quelli che corrono veloci sulle gambe del passaparola, di continente in continente. Proprio come la storia della protagonista, la diciannovenne Esty (interpretata dall’attrice Shira Haas), giovane americana cresciuta nella comunità ebrea chassidica Satmar di Williamsburg, a Brooklyn, e fuggita in Europa per rifarsi una vita. Ispirata alla biografia di Deborah Feldman, ex ortodossa allontanatasi dalla sua comunità di origine, la produzione è stata girata quasi interamente in lingua yiddish (la lingua di origine germanica parlata dagli ebrei aschenaziti e scritta con i caratteri dell’alfabeto ebraico) a New York, con il coinvolgimento di comparse, attori, consulenti chassidici. La serie, assieme al documentario di una ventina di minuti sul dietro le quinte, è diventata in tal modo una preziosa finestra sulla cultura, la religiosità, il pensiero ebraico ortodosso di alcune impenetrabili cerchie, avverse a qualsiasi progresso tecnologico, contaminazione linguistica e culturale. Nella soffocante realtà chassidica, manco a dirlo, l’uomo, obnubilato dall’integralismo acritico, si accanisce sulla donna, tenuta nell’ignoranza, svuotata della libertà di scelta in qualsiasi sua forma: l’abbigliamento, le amicizie, la scelta del partner, il controllo del proprio corpo. Una visione della relazione uomo–donna che finisce per condurre all’infelicità anche il maschio, come coglie e propone con sensibilità la sceneggiatura attraverso la figura del giovane sposo di Esty, Yanky, innamorato e incapace di amarla al tempo stesso.

La galassia ebrea ortodossa è pure al centro della docu– fiction One of us (Uno di noi, 2017), storia di tre ebrei ortodossi americani “dissidenti”. Assai meno claustrofobico Shtisel (dal 2013 in poi, tre stagioni, di cui l’ultima in lavorazione), storia di una famiglia ebrea immaginaria che vive a Geula, Gerusalemme. Prodotto israeliano di grande successo nel mondo, a disposizione del pubblico italiano ora su piattaforma, è comunque controverso in patria, poiché intende descrivere gli ortodossi come individui ordinari. Denuncia il radicalismo, islamico in questo caso, anche la drammatica serie tv Kalifat: protagoniste Fatima, agente dei servizi segreti svedesi, e Pervin, cittadina svedese di origini turche fuggita a Raqqa insieme al marito. Una scelta devastante cui Pervin cercherà di porre rimedio per sé e la sua primogenita attraverso uno strumento raro e pericolosissimo nella Daula, il sedicente Stato islamico: un telefonino. Così nasce il rapporto fra le due donne, messe in contatto da un’ex insegnante di Pervin, e subito legate da un patto: informazioni sulla rete jihadista in Svezia in cambio del rientro sicuro in patria per Pervin e la sua bimba. Gli occhi di Pervin conducono lo spettatore all’interno del Califfato, fino a fargli percepire l’opprimente angoscia che scandisce la quotidianità. Meno critico lo sguardo di Layla, giovane olandese di origine marocchina protagonista della pellicola Layla M.: una diciottenne in cerca di se stessa, nata ad Amsterdam da famiglia benestante e integrata, profondamente arrabbiata con i suoi cari e la società. Layla non si sente abbastanza olandese per gli olandesi – lei, velata con l’hijab, percepisce atteggiamenti razzisti e discriminatori – e non abbastanza marocchina, perché lontana da quei Paesi arabi in cui sogna di trasferirsi. A realizzare il suo sogno ci penserà Abdul, coetaneo radicalizzato che la porterà nel Califfato, facendone la sua compagna verso l’inferno. Fino a un finale aperto e sospeso, come la vita dei foreign fighter dopo il crollo dello Stato islamico. Fra deradicalizzazione autentica ed estremismo mimetizzato.

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