martedì 1 luglio 2014
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Una villetta di fine ’800, mattoni alla base, assi di legno e stile vagamente vittoriano: sui 200 metri quadrati abitabili più soffitta, cantina e un ampio giardino. Messa all’asta on-line per mille dollari, è stata venduta per poco più di cinquemila. Quel che in Italia può costare un divano di pregio, o una serie di elementi per cucina di gamma non alta. E non è l’unica: ci sono decine, centinaia di case simili, più grandi, più piccole, più belle, più brutte, più nuove, più vecchie... tutte offerte a mille dollari con rilanci fissi di 100. Ma c’è il "trucco": chi se ne accaparra una è tenuto entro un mese a dimostrare di aver acquistato i materiali per ristrutturarla e a porvi la propria residenza entro sei mesi dall’acquisto: pena la perdita della proprietà e del denaro versato. La campagna di vendita è uno dei passi mossi per cercare di attirare persone nelle zone centrali di Detroit, una città che è divenuta un fantasma: spopolata, abbandonata, cadente. Dal dicembre 2013 l’ex capitale dell’auto è in bancarotta. Dovrà presto ridisegnarsi o cadere nell’oblio. Siamo in piena epoca di ristrutturazioni urbane. In Europa già da tempo Barcellona, Berlino, Londra, Torino e tante altre città sono state "rifondate", le loro caratteristiche radicalmente mutate. È stato il fenomeno più evidente del passaggio dall’era industriale a quella postindustriale. Ma Detroit è diversa. Per tanti motivi: per il suo valore simbolico legato all’automobile; perché è la più grossa città statunitense a entrare in bancarotta (ovvero, ad avere il permesso di pagare una minima frazione del suo debito detenuto da investitori finanziari e di ridurre drasticamente stipendi e pensioni dei suoi impiegati); perché il suo "peso" economico (l’ha spiegato l’economista Paul Krugman) equivale a due terzi di quello dell’intera Grecia; perché la sua ristrutturazione avrebbe potuto avvenire decenni fa e ora è stata resa improcrastinabile dal fallimento economico; perché se riuscirà a cavarsela sarà un esempio per tante altre città statunitensi in condizioni critiche.Se nelle ristrutturazioni urbane avvenute in Europa predomina la monumentalità di interventi emblematici (il nuovo Parlamento di Berlino firmato da Norman Foster; il nuovo Guggenheim di Bilbao firmato da Frank O. Gehry; la Tate Modern o il Millennium Bridge a Londra, per citare solo alcuni esempi), a Detroit il problema riguarda decine di migliaia di edifici pericolanti che richiedono decine di migliaia di piccoli interventi, e un nuovo concetto urbano. A questo si sono dedicati il nuovo sindaco, Mike Duggan (il vecchio sindaco, Kilpartick, è stato condannato a 28 anni di carcere per appropriazione indebita) e il commissario "liquidatore" Kevin Orr. Il nuovo concetto urbano consiste nel rilanciare l’idea di "centro". Se negli anni ’50 la città aveva circa due milioni di abitanti, nel 2010 è arrivata ad averne circa settecentomila e per giunta dispersi su un territorio vastissimo, perché prima i non abbienti sono stati spinti dagli alti prezzi nelle periferie o fuori città, poi con la delocalizzazione della produzione (in Messico e in Brasile) avvenuta in maniera massiccia negli anni Ottanta, la classe media se n’è andata e a Detroit sono rimasti solo i più poveri ed emarginati, quasi totalmente (98 per cento della popolazione) afroamericani. Ora l’idea è di attirare nuovi abitanti nelle aree baricentriche favorendo la ristrutturazione di case e quartieri e radendo al suolo le zone più marginali. Al proposito l’Amministrazione Obama a fatto sapere che ci vorranno 850 milioni di dollari solo per abbattere le decine di migliaia di edifici pericolanti (si parla di oltre 40mila), a volte covi di bestie e di criminali. Un secondo aspetto nella strategia di rilancio consiste nel coinvolgere i residenti e i nuovi arrivati in attività artistiche, culturali, commerciali: tutti lavori di tipo "postindustriale". Il sito web della municipalità fa marketing urbano: oltre a svendere le case vecchie, propone varie attività, come "Adotta un parco". A chi accetta di prendersi cura di un giardino pubblico si promette il sostegno di architetti del paesaggio per aiutare a ridisegnare l’insieme. E si invitano i turisti con slogan come: vuoi cultura? Qui abbiamo la Detroit Symphony Orchestra, il teatro dell’Opera, l’Istituto d’Arte e il Museo di Storia Afro-Americana.... Ti piace la musica? Qui nacquero Aretha Franklin, Diana Ross e tanti altri cantanti... Sei appassionato di sport? E giù un elenco di squadre di baseball, football, basket, hockey, e un’originalissima competizione per idrovolanti sul fiume da cui la città prende nome (di origine francese: "le détroit du lac Érié", ovvero "lo stretto del lago Erie").E già arrivano nuovi abitanti: in pochi mesi si sono insediate alcune migliaia artisti, musicisti, pittori, designer, creativi di ogni estrazione nei tanti "loft" disponibili a basso prezzo. E vi sono immobiliaristi dalla vista lunga che stanno acquistando non singoli edifici, ma gruppi di isolati, porzioni di città. Il sindaco Duggan qualche giorno fa già manifestava soddisfazione: «All’inizio del 2014 non c’erano strategie né denari. Ora abbiamo una strategia e si aprono i primi finanziamenti». Detroit gigante dell’auto è caduto. Se tra qualche anno nel mondo sarà conosciuta come la città degli idrovolanti, dei giardini fai-da-te e dei teatri dell’opera, sapremo che qui è nata una nuova "storia americana". E che anche dall’altro lato dell’Atlantico, arte e cultura sono divenuti i pilastri su cui si reggono le città.
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