giovedì 28 maggio 2009
Madeleine fu una tra le prime diplomate francesi del settore: scelta coerente con la sua vocazione di «missionaria in città». Era un mestiere nuovo e riservato solo alle donne. L’interesse per il mondo operaio e la sofferenza per la divisione tra comunisti e Chiesa la condusse a fare dialogo condividendo casa e lavoro coi proletari.
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Madeleine Delbrêl ha speso gran parte dei suoi anni nelle periferie parigine, ma non è stata una donna periferica. Vivendo la centralità del Vangelo nella sua vita è stata nel cuore della vita della Chiesa francese, tanto che ha generato una discendenza durevole, dalle prime compagne che vissero con lei a Ivry, nella banlieue parigina, sino a oggi, a coloro che si ispirano a lei. Eppure al momento della sua morte, nel 1964, Madeleine era assai poco conosciuta. I suoi testi più importanti erano ancora inediti e sarebbero stati pubblicati postumi, a partire dal 1966. L’interesse nei suoi confronti è cresciuto quando i suoi scritti hanno avuto diffusione, non soltanto in Francia. Jacques Loew, prete operaio a Marsiglia dagli anni Trenta, vicino all’esperienza di Madeleine, si è chiesto da cosa derivi la notorietà di questa donna, dichiarata «serva di Dio» dalla Chiesa nel 1996. «La notorietà di Madeleine Delbrêl — conclude Loew — è frutto diretto, unico e immediato del suo pensiero, tale e quale è stato divulgato tra il 1966 e il 1973 nei tre libri postumi: Noi, gente di strada..., La gioia di credere e Comunità secondo il Vangelo. Il vissuto del laboratorio umano di Ivry ha, dunque, trovato vasta eco. Madeleine aveva creato la Charité de Jésus a Ivry nel 1933, con poche compagne. Lì, dal 1937, aveva esercitato la professione di assistente sociale, all’epoca un mestiere nuovo e riservato esclusivamente alle donne. Nel 1928 si era tenuta a Parigi la prima conferenza internazionale dedicata al servizio sociale e solo nel 1932 era stato istituito il diploma di assistente sociale. Madeleine fu una delle prime assistenti sociali francesi. Madeleine aveva scelto di divenirlo in età già adulta, dopo aver condotto studi letterari e filosofici alla Sorbona. In lei l’esperienza spirituale e l’attività professionale si fondono, divengono un tutt’uno in una vita spesa nell’incontro e nel servizio all’«altro». È pertanto importante tornare sui suoi «scritti professionali», a partire dalla tesi discussa nel 1937, Ampleur et dépendance du service social.La storia umana professionale e religiosa di Madeleine Delbrêl ha come teatro Ivry sur Seine, periferia operaia di Parigi. Non si trattava di un mondo facile. Ci si potrebbe chiedere come mai questa donna, senza grandi risorse, debole di salute, abbia scelto quell’angolo di Parigi. C’era un prete amico, Lorenzo, che dal ’34 divenne parroco di Ivry; c’era qualche compagna, disposta a iniziare con lei un’esperienza spirituale nuova. La periferia parigina era la realtà di un mondo dolente e secolarizzato. È il mondo di quell’assenza di Dio su cui Madeleine rifletteva da tempo. Il «Dio è morto» di Nietzsche le appariva, allora, non soltanto una provocazione filosofica, ma una realtà concreta di tanti uomini e donne. Questo avveniva in un mondo doloroso fatto di povertà ed esclusione. Madeleine riflette su quel mondo e sente la ferita di tanti che si allontanano dalla Chiesa. La Chiesa di Pio XI (e lo stesso Papa) aveva chiaro l’avvenuto divorzio fra il cattolicesimo e il mondo operaio. Madeleine immagina una presenza diversa dei cristiani, a contatto quotidiano con la gente. Dice spesso che è necessario essere «predicatori con la vita». Bisogna avvicinarsi alla gente per riavvicinare loro a Dio. Questi temi la accompagnano nel corso degli anni e rifluiscono in uno dei suoi libri più importanti, Ville marxiste, Terre de mission, pubblicato nel 1957. C’è qui la grande intuizione della Francia, quella delle periferie come terra di missione. Era l’intuizione che aveva mosso l’esperienza dei preti operai. La Mission de France, voluta nel 1941 dal cardinale Suhard, ha tra i suoi ispiratori Madeleine Delbrêl. Il suo interesse per il mondo operaio, infatti, viene presto condiviso da altri all’interno della Chiesa francese, da preti e da laici, che entrano a contatto con quel mondo. Madeleine soffriva la divisione rigorosa della città tra comunisti e non comunisti, spaccatura che allontanava irrimediabilmente gli operai dalla Chiesa. Aveva studiato il marxismo. Era entrata in dialogo con i comunisti che incontrava nella vita di ogni giorno. Credeva che la chiave per superare la divisione fosse l’amicizia personale, l’amore gratuito: «Ogni uomo — scrive —, comunista o capitalista, buddista o musulmano, è prima di tutto nostro fratello nella creazione». Per «saltare il fosso» che divideva in due la città — da una parte la Chiesa, dall’altra il mondo operaio — Madeleine e le compagne decidono nel 1935 di lasciare il centro sociale della parrocchia, dove risiedevano da due anni, e di affittare un appartamento nel centro di Ivry. Si trovano così a vivere tra gli operai, che in quel tempo erano definiti «proletari». Ci si chiedeva, allora, cosa sarebbe stato di quell’ampia fetta di popolazione ormai lontana dalla fede, se non perfino ostile. Nel 1943 Henry Godin e Yvan Daniel rilanciano questi interrogativi con il celebre testo, La France, pays de mission?, presentato all’arcivescovo di Parigi. La risposta, per Madeleine, non è nel divenire «progressisti» o nell’avvicinarsi al partito comunista, né in un astratto dialogo sui grandi principi. La sua risposta è la condivisione concreta e quotidiana della vita degli operai e passa anche attraverso l’aiuto concreto, materiale, che Madeleine offre come assistente sociale. Nei suoi ultimi anni Madeleine segue con grande interesse lo svolgersi del Concilio. Dopo la fine dell’esperienza dei preti operai nel 1953 vissuta da lei con dolore, il Concilio le sembra una grande opportunità. La morte sopraggiunge improvvisa, il 13 ottobre 1964, mentre a Roma per la prima volta un laico, Patrick Keegan, prende la parola in un’assemblea conciliare, intervenendo sull’«apostolato dei laici».
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