mercoledì 2 giugno 2010
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Dovendo commentare i dieci comandamenti, la prima cosa che mi sento di dire è la mia grande ammirazione per la loro capacità di sintesi e la potenza della loro comprensione del mondo umano e divino, e per come riescono a abbracciare le cose più rilevanti e importanti della socialità in epoca antica. Non solo. C’è nei comandamenti una profonda modernità, nel senso che individuano ragioni e comportamenti umani che ci riguardano tutti ancora oggi e per questo possiamo tranquillamente dire che non hanno perso nulla della loro originalità e pregnanza morale. Nei miei libri non ho mai avuto l’occasione di commentare l’importanza di questi testi, con l’eccezione di Vedo Satana cadere come la folgore, dove per la prima volta mi sono reso conto dell’importanza dell’ultimo comandamento dal punto di vista della teoria mimetica: «Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). È un comandamento che esprime un concetto già moderno di legittimazione della proprietà privata, ma più rilevante dal mio punto di vista è l’articolazione intuitiva di quello che io chiamo "desiderio mimetico", cioè il desiderio secondo l’altro, il desiderio imitativo che può assumere, e spesso assume, connotazione rivalitarie. Un sentimento che noi moderni abbiamo imparato a sperimentare giornalmente e in quantità, ma che, essendo una componente fondamentale dell’animo umano, era pane quotidiano anche per gli antichi. È interessante vedere come la legge mosaica cominci enumerando uno a uno gli oggetti che non devono essere desiderati, ma una lista puntuale di potenziali oggetti da proibire per non scatenare la rivalità reciproca sarebbe interminabile, e l’estensore di questo testo se ne rende conto. Per tanto interrompe l’elenco e fissa il centro polare dei processi di desiderio e rivalità sul prossimo e di tutto ciò che gli appartiene. La natura dell’oggetto non è il fattore determinante, ma il fatto che appartenga a chi ci sta vicino. Per tanto l’ultimo dei comandamenti chiude la lista proibendo di desiderare «cosa alcuna che appartenga al tuo prossimo». Questo comandamento pone un veto esattamente nei confronti del desiderio mimetico. Allo stesso modo in cui i quattro precedenti descrivono crimini contro il prossimo: ucciderlo, rubargli la moglie, rubargli ciò che gli appartiene, calunniarlo. Quale principio li guida? Il decimo comandamento se lo chiede e lo scopre: il desiderio mimetico. Le ultime parole, «cosa alcuna che appartenga al tuo prossimo», mettono il prossimo, il modello, in primo piano. E quello che sembra un comandamento quasi accessorio, diventa la perfetta chiusura del Decalogo. Infatti se anche rispettassimo tutti i precedenti comandamenti ci rimarrebbe un residuo di desideri concreti, legati alla vita quotidiana, e che testimonia già il livello di comprensione realistica del testo biblico (nel senso espresso da Auerbach in Mimesis) e in particolare la comprensione del funzionamento dei meccanismi del desiderio. Il prossimo è colui che ci sta accanto, colui con cui è più facile che il principio di rivalità e di conflitto nasca, che è all’interno della nostra stessa comunità, nel nostro cerchio quotidiano, e non qualcuno che ci sia astrattamente nemico. Questa idea del prossimo ha un’importanza decisiva in tutta la Bibbia, perché è attraverso la relazione con questo altro che costruiamo positivamente o negativamente il nostro mondo relazionale e quindi noi stessi. Un altro comandamento che ha una sua modernità, e che segna un allontanamento dalle culture arcaiche, è «onora il padre e la madre», dove vediamo già enunciata e costituita la struttura della famiglia moderna, e dove non si fa menzione alcuna a forme di poligamia o di condivisione della prole all’interno di strutture famigliari di carattere comunitario. La relazione formativa fondamentale avviene all’interno della famiglia "nucleare", attraverso il rapporto di rispetto con i genitori, costruendo quello che io chiamo "mediazione esterna del desiderio", ovvero una forma di desiderio imitativo che viene diretta verso un modello con cui non entriamo in rivalità e in disputa. «Onora il padre e la madre» ci insegna appunto questo: che la struttura pedagogica della famiglia deve essere articolata attraverso il rispetto e l’esternalità del rapporto imitativo e pedagogico. L’importanza di questo comandamento potrebbe essere usata ovviamente contro Freud, che vede nella famiglia il fulcro di quello che io definisco come "mediazione interna " del desiderio, ovvero di "imitazione rivalitaria" e che per Freud porta appunto alla sessualizzazione del rapporto fra genitori e figli e allo schema edipico. Qualcuno potrebbe obiettare che è il cristianesimo stesso che in qualche modo ritraduce il rapporto fra genitori e figli in termini stranamente rivalitari, soprattutto facendo riferimento a quel passaggio del Vangelo in cui Cristo dice: «Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10, 34-37). Io ho sempre interpretato questo passaggio in termini "apocalittici", nel senso che il cristianesimo porta a un dissolvimento culturale che non può più essere ricostituito, perché quello che teneva coesa la cultura antica era il sistema vittimario, il meccanismo del capro espiatorio, chiamato a risolvere i principi di dissoluzione della comunità attraverso la persecuzione di vittime innocenti, usate come sistema "farmacologico" per mantenere l’ordine politico, sociale e culturale. Con il cristianesimo questo non è più possibile, proprio perché Cristo ha rivelato l’ingiustizia e l’arbitrarietà di questo meccanismo, della vittimizzazione di capri espiatori innocenti: e Gesù lo rivela diventando lui stesso la vittima perfetta, la vittima senza colpa.
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