giovedì 4 novembre 2010
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L'attenzione alla storia del Mezzogiorno, la sua vocazione di meridionalista animata da un’intensa passione civile, trovano evidenti riscontri nella produzione scientifica di Gabriele De Rosa, dedicata a figure di primo piano nella storia del meridionalismo italiano, come Sturzo, Nitti, Gramsci, Monterisi ed altri. Ma la sua presenza a Salerno, presso la cui Università fu rettore riuscendo a farne una delle più significative realtà accademiche e culturali del Sud d’Italia, gli consentì anche una nuova lettura storica del Mezzogiorno, dando dignità scientifica alla storia quotidiana, alla storia dei sentimenti, delle lotte, delle comunità, dei municipi, delle chiese e dei santuari, senza per questo ignorare i grandi avvenimenti che sono al di là del campanile, né restare ancorato alla vecchia storia locale, molto spesso erudita, pedante, chiusa in se stessa. Le suggestioni culturali che fornì a De Rosa uno studioso della storia delle pietà, come don Giuseppe De Luca, assieme alle indicazioni metodologiche della scuola francese delle Annales sui temi della storia sociale, convinsero De Rosa a ricercare proprio nel Mezzogiorno un terreno di indagine capace di riscoprire una nuova dimensione storica. «Volevamo indagare – scrisse – sul carattere e sulla forza della socialità meridionale». Da qui un intenso scavo archivistico, per recuperare e studiare i libri dei nati, dei matrimoni, dei morti, gli stati d’anime, le visite pastorali, gli atti sinodali e così via. «Il Mezzogiorno delle nostre indagini – aggiunse – incominciò a frastagliarsi in un complesso di aree storico-culturali omogenee, antropologicamente e socialmente, ma non uniformi, territorialmente definibili secondo una geografia umana, che emergeva dalle storie delle strutture locali». Si deve a De Rosa e alla sua scuola l’avvio di una serie di ricerche di grande rilievo e interesse sui temi della religiosità popolare, della pastoralità, della santità, per cogliere e sottolineare la realtà di una tradizione e di una pratica religiosa, inserita in un tessuto civile e in un contesto sociale. Una lettura della storia della religiosità meridionale al di fuori da interpretazioni sociologico-folkloriche, per proporre la visione di una Chiesa istituzionale – dai vescovi ai sinodi – impegnata nello sforzo di far penetrare nella realtà religiosa del Mezzogiorno la riforma post-tridentina, incontrando resistenze culturali, ambientali e sociali, legate alla più ampia storia sociale ed economica del Mezzogiorno. Con questi studi siamo anche di fronte a un modo di affrontare il tema della religiosità popolare che esce completamente dagli schematismi di certe ideologizzazioni, tendenti a vedere nella religiosità popolare uno strumento che la Chiesa gerarchica utilizza per controllare il mondo dei poveri. De Rosa cominciò a battere a tappeto la Campania, il Cilento, la Basilicata, a visitare sperdute diocesi, ove rintracciare documenti di visite pastorali, atti sinodali, carteggi, relazioni, ove riscoprire figure di vescovi fin allora ignorati, come Angelo Anzani, o santi la cui fama non oltrepassava il confine di piccole comunità religiose, come Gerardo Maiella. Gli studenti dell’Università di Salerno più inclini alla ricerca storica trovarono alla scuola di De Rosa un campo nuovo e suggestivo per impegnarsi. Numerosi laureandi, alcuni dei quali hanno poi proseguito con successo l’attività di ricerca e di studio, si misero in movimento, andarono a riscoprire nelle loro parrocchie, nelle curie, nei seminari, nei municipi, negli archivi pubblici e privati, una documentazione rimasta a lungo inesplorata, recuperando le radici di una cultura, di una mentalità, di comportamenti e di eventi, che restituivano  la memoria e la storia del passato di quelle terre e di quella società. Insomma una globale analisi della realtà sociale e religiosa del Mezzogiorno, ricostruita – come ci spiega De Rosa – «sul terreno delle cose concrete della vita vissuta, dei nomi e delle voci reali, scritte e non scritte, ma tutte segnate nei contorni precisi di un paesaggio che ha le sue case, le sue dimore, le sue chiese, disseminate in infiniti piccoli raggruppamenti, scavate molte volte nei sassi e nelle montagne. Santuari e pellegrinaggi, non come eccezioni, parentesi, folklore, ma come temi costanti nella storia sociale, economica e religiosa del Sud».
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