giovedì 8 novembre 2012
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​«Mi spaventa che Fabrizio sia troppo presente», dice a un certo punto Dori Ghezzi presentando il maestoso cofanetto Fabrizio De André - I Concerti, 16 cd e un libro (foto, appunti, memorabilia) che ripercorrono tutti i tour dell’artista. Ma non pare vezzo né contraddizione, il pudore di Dori: anzi, è lo stesso del marito. Un De André sempre restio a parlare di sé, che solo nel marzo ’75 si esibì per la prima volta dal vivo (data qui testimoniata con un bootleg di rara emozione) e che anche fra una traccia e l’altra di questi dischi sentiamo dire «Riesco a esternare meglio a canzoni che a parole».Però anche le parole, dentro e fuori le canzoni, danno la misura della qualità, della profondità e del percorso di De André. E dopo averle cercate, selezionate, restaurate (da musicologi) e vestite con tanta eleganza, non crediamo che Dori si debba preoccupare che Faber sia troppo presente. In tempi come questi, e parlando delle vette che egli raggiunse, sarà sempre, semmai, troppo poco. Anche perché un’opera del genere (in uscita il 13) permette di rileggere tramite De André pure vent’anni di storia d’Italia. Avendo scelto di darle taglio culturale, e avendo voluto recuperare appunto anche le parole oltre le canzoni. Per «umanizzare», come dice bene la Ghezzi, un’arte che in fondo proprio all’uomo si rivolgeva.I live nel cofanetto sono otto, solo quello con la PFM già in commercio («Non avevamo altre fonti all’altezza»); tutti gli altri sono inediti o incisi in date diverse da quelle note. Con brani modificati, le canzoni del figlio Cristiano negli ultimi tour e pure le contestazioni a Roma del ’79, proprio con la PFM: in un live che quindi anch’esso contiene… inediti. Ossia il pubblico che grida a De André «Venduto!» e lui che ribatte (che risposta…) col Testamento di Tito.Il viaggio dei cd parte dalla Bussola di Viareggio, che Dori ricorda appunto come «Il primissimo concerto, amato e odiato da Fabrizio, che però diede il "la" aduna sua crescita di anno in anno. Come musicista ma anche come persona». Perché «In tour conobbe meglio la gente, vi dialogò e superò le sue paure: arrivando a creare un rapporto umano per la cui perdita devo ancora oggi consolare molti». E questa crescita si sente nei successivi live: Storia di un impiegato, L’indiano, Crêuza de mä (dal 13 anche su iTunes), Le nuvole, In teatro 92/93, Anime salve e quel Mi innamoravo di tutto che fu l’ultimo.Nelle scalette cardini musicali e concettuali: dunque Il pescatore, Via del Campo, Hotel Supramonte, ma pure Brassens, La Buona Novella e inediti parlati di segnalazione delle denunce o dei valori su cui le canzoni poggiano. L’esito? «È che non so – dice Dori – quanto oggi ricorderemmo Fabrizio senza questi live. So solo che ho lavorato al progetto non da moglie ma da pubblico: che vuole ascoltarlo o approfondirlo soltanto in un certo modo». E solo quando le chiedono perché i loro figli non appaiano mai alle iniziative della Fondazione De André, un velo di malinconia la turba. «Chissà. Cristiano spero pubblichi a breve un cd magnifico che ha pronto, e Luvi produce un gruppo giovane, i Blastema. Ma forse i miei sforzi servono proprio a reinvestire, grazie all’opera di Fabrizio, sui giovani. Nessuno lo fa più, io voglio continuare a farlo. Pure divulgando Fabrizio con progetti così».
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