lunedì 12 maggio 2014
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Da più di quarant’anni la bolletta petrolifera condiziona pesantemente l’economia dei Paesi occidentali, e questi non riescono a liberarsi della tirannia dell’ "oro nero". Non è facile ridurre la dipendenza se il petrolio è indispensabile come carburante per le auto e come combustibile per le attività industriali tra cui, in primis, la produzione delle plastiche, che aiutano incessantemente l’uomo nella vita quotidiana.  Dal 1997 esperti di prospezioni ambientali sostengono che rifiuti di tutto il mondo hanno  formato nell’Oceano Pacifico un incredibile nuovo "continente", largo quattro milioni di chilometri quadrati e costituito per l’80 per cento da contenitori di plastica tradizionali. E la domanda aumenta. L’ultima versione dell’Airbus è fatta per il 50 per cento di materiale plastico. Ma ora una concreta risposta liberatrice sembra venire da Saint-Malo, in Francia, dove Rémy Lucas, ingegnere e chimico, da più di un anno produce plastica ricorrendo non al petrolio ma esclusivamente alle alghe brune. Ha fondato "Algopack", diventata subito una start up e ha già dovuto accelerare i ritmi di produzione, per soddisfare una richiesta in ebollizione. La prospettiva appare lusinghiera, anche se sganciare su vasta scala la plastica dal petrolio richiede massicci investimenti per la riconversione. Ma il lavoro incominciato a Saint-Malo potrebbe imprimere una svolta generale dalla quale non si torna indietro. Specie da quando, l’anno scorso, il ministero Usa dell’energia ha annunciato un investimento di 10 milioni di dollari cui si aggiungono 12 milioni di euro messi a disposizione per un triennio, in Francia, da cinquanta fra industrie e istituti di ricerca riuniti nel gruppo "Green Stars".Insomma le alghe sono già percepite come un carburante del futuro.  L’arma vincente di Rémy Lucas sono le macroalghe della Bretagna, che hanno il pregio della biodegradabilità; è questa caratteristica che le rende "amiche dell’ambiente". L’ingegnere, che è bretone e nelle questioni economiche vuole vedere e toccare, per dimostrare che la sua plastica da alga è altamente biodegradabile, invita i cronisti a fare un esperimento in giardino. «Ecco due bicchieri: uno l’ho prodotto io, con le alghe; l’altro è stato prodotto con il metodo tradizionale, cioè con il petrolio. Sotterrateli tutti e due. Dopo una settimana, andate a controllare. Il mio bicchiere è già scomparso, si è decomposto in pochi giorni (vedere intervista pubblicata accanto). Per l’altro bicchiere invece è inutile aspettare, occorreranno dieci secoli». Nessuno conosce la  rivoluzionaria formula di Rémy Lucas, ma molti cercano di imitarla. Ed è certo che sottrarre all’impero petrolifero la massa delle plastiche potrebbe avere un enorme impatto simbolico. Diversamente dal greggio, e anche dal gas e dal carbone, le alghe non inquinano e si riproducono senza limite. Non conoscono alti e bassi congiunturali e perciò non esistono Paesi produttori che possano minacciare il blocco delle forniture. Pare che gli esperimenti compiuti a Saint-Malo siano molto promettenti. Mostrano che anche in settori industriali fortemente critici si può produrre senza inquinare. Naturalmente c’è ancora un lungo cammino da fare. A questa virtù dell’alga, Rémy Lucas ne aggiunge altre. Quanto a efficienza pratica, il materiale che se ne ricava non ha nulla da invidiare alla vecchia plastica. Con le plastiche da alga si fanno le stesse cose che si fanno con le laboriose plastiche da petrolio. Anzi se ne possono fare di più: le alghe contengono vitamine, proteine e sali minerali, fa sapere l’ingegnere, quasi voglia distrarre qualche osservatore (ha già subito attacchi di spionaggio industriale). Ma come nascondere l’interesse per una risorsa naturale come "Algopack"?. Le grandi compagnie seguono con attenzione il cammino della formula e si attrezzano. Spendono milioni per ricerche analoghe. E Michel Loubry, uomo di "PlasticsEurope" (che riunisce tre colossi della petrolchimica francese: Total, Exxon e Basf) per non correre rischi pratica l’understatement. Se la cava con una battuta: «Rémy Lucas fa una ricerca di nicchia. Nel 2012 - aggiunge - noi della chimica tradizionale abbiamo prodotto quasi 13 milioni di tonnellate di plastica. Ad un risultato come questo non si arriva con le alghe». (E infatti "Algopack" ha totalizzato appena 2.580 tonnellate). Perciò Michel Loubry non vede choc energetici all’orizzonte. «Avremo sempre il greggio che ci serve per  produrre plastica alla maniera classica». Dal canto loro, i sostenitori della "chimica verde", diventata "chimica blu" quando è fatta con le alghe del mare, hanno fiducia nella buona stella che protegge l’ingegnere bretone. Sono convinti che Rémy Lucas vedrà premiata la sua abnegazione; per oltre dieci anni ha lavorato alla sua ricerca in tutte le ore libere, nei fine-settimana e nelle ferie. Con le alghe nella mente, senza stancarsi mai.
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