venerdì 6 novembre 2009
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La buona progettualità ha sempre seguito linee che oggi si potrebbero ascrivere al concetto di equilibrio ambientale, già da prima che sorgesse l’attenzione per il riciclaggio e per la qualità dei materiali che sempre più caratterizza la cultura contemporanea. Paolo Tamborrini, ricercatore del Politecnico di Torino, ha recentemente pubblicato un volume sul concetto di ecologia applicato al progetto Design sostenibile. Oggetti, sistemi e comportamenti, (Electa, 224 pagine, 42,00 euro), in cui si trovano aspetti sorprendenti, tra cui l’affermazione che la sostenibilità era praticata dai buoni designer ben prima che questa fosse percepita quale un imperativo sociale. Nelle prime pagine del volume si trova un’immagine della graffetta: il fermaglio in fil di ferro che consente di tenere assieme vari fogli e che da sempre campeggia nei cassetti e sulle scrivanie. Brevettato dal norvegese Johann Vaaler nel 1899 e perfezionato pochi anni più tardi dall’azienda inglese Gem Manufactoring (che ha prodotto un modello arrotondato così da garantire che lo stress sui fogli si riducesse) è uno di quegli oggetti tanto comuni da passare totalmente inosservati, ma è stato inventato, disegnato, prodotto: prima non c’era. E consente di organizzare meglio il lavoro e di tenere ordine tra appunti e scartoffie. Ottiene un notevole risultato con un minimo sforzo, il che è il nocciolo della sostenibilità: evitare lo spreco.«Alcuni buoni designer, come Bruno Munari, Enzo Mari, Gio Ponti, hanno operato ante litteram secondo i principi della "sostenibilità" - argomenta Tamborrini -. Il loro approccio ancora oggi può insegnare molto, perché questa non è misurabile solo sul metro della riciclabilità o della funzionalità». Ed ecco quindi che tra gli esempi di design sostenibile troviamo la sedia superleggera che Gio Ponti ha firmato nel 1951, presentandola come esempio di riduzione all’essenzialità: «una sedia-sedia senza aggettivi e di prezzo basso». Un oggetto archetipico privo di fronzoli, con una struttura che risponde alle linee di forza e pertanto si realizza utilizzando il minimo di materiale: minima azione, massimo risultato (già Leibniz aveva molto argomentato in merito, ma non è detto che un designer attinga a tali suggestioni). E la riduzione quantitativa di materiale (in questo caso il legno) risponde ai criteri della sostenibilità.Il rispetto ambientale, così apparentemente diffuso, è veramente assimilato nell’attività di design? «No, ancora oggi moltissimi vanno alla ricerca del "bello" senza badare alla funzionalità: questo avviene soprattutto là dove più forte è la pressione delle mode, sia nella produzione di abiti, sia nella produzione di arredi. Non a caso nel Salone del Mobile si nota ancora un prevalere di ricerche formali volte a colpire anzitutto l’aspetto emotivo. Ma occorre fare attenzione: il problema è trovare il giusto mezzo tra funzionalità, risparmio energetico in tutta la filiera produttiva, riciclabilità dei materiali, semplicità nel disegno da un lato e dall’altro lato il valore estetico; perché se manca questo, l’oggetto perde molta parte del suo significato».Insomma, il tema della sostenibilità è complesso e variegato. «Un po’ perché le leggi tendono in questa direzione, un po’ perché il pubblico mostra una sensibilità sempre maggiore verso l’ambiente, oggi le aziende tendono a produrre oggetti in cui è ottimizzato il numero di componenti e l’origine dei materiali. Ma si richiede un passo ulteriore: è tutto il sistema produttivo e di utilizzo che dovrebbe essere informato alla sostenibilità. È esemplare il caso delle lavatrici: sono più o meno come quelle di 40 anni fa, eccetto che oggi sono di classe "A+", cioè consumano meno energia. Un’ipotesi di cambiamento reale è quello proposto con la lavatrice "Biologic": non più il solito cestello ruotante che, agitando il bucato, lava e risciacqua, bensì una piccola centrale in cui le piante assolvono alla funzione di purificare l’acqua in un ciclo continuo ma necessariamente lento: l’acqua purificata passa nei comparti lavaggio e risciacquo, quindi nel contenitore delle piante per la purificazione prima di ricominciare il ciclo. Il ciclo è "automatico", ma secondo ritmi dettati dal tempo necessario alle piante per purificare l’acqua. Sostenibilità riguarda non solo i designer, ma uno tutto stile di vita».Anche il "Solar Cookit" utilizza l’energia presente in natura… «È un kit acquistabile in rete e che si usa là dove c’è molto sole: secondo il principio degli specchi ustori i fogli di alluminio riflettente, piegabili e apribili, fanno convergere i raggi solari così da surriscaldare un contenitore. Oltre che per cuocere, serve per purificare l’acqua tramite ebollizione». Lo stesso obiettivo è ottenuto da "Solar Bottle", un contenitore che surriscalda l’acqua tramite l’esposizione al sole (per capire l’importanza del problema si consideri che centinaia di migliaia di bambini muoiono prematuramente per via di infezioni contratte dall’acqua non potabile). «Sono esempi di tecnologie appropriate per ambienti specifici, quali le zone desertiche africane dove non c’è energia e l’acqua è poca e spesso infetta. Perché il design sostenibile non è "globale", ma "locale"».
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