lunedì 12 settembre 2011
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«Il viaggio più lungo / è il viaggio verso l’interno»: non esiste politica senza coscienza; e queste sono le parole di Dag Hammarskjöld (1905-1961), segretario generale dell’Onu per due mandati (1953-1961), svedese, morto in una missione in Katanga e premio Nobel per la Pace, conferito in memoria, nel 1961. Il suo diario, Linea della vita, è una testimonianza di impegno, di dignità, di speranza sui destini dell’essere umano: «esistere attraverso il futuro degli altri». E di coscienza della plenitudine divina in noi: «Io sono il recipiente. La bevanda è di Dio. E Dio è l’assetato». Fu descritto come un mistico; fu piuttosto fedele al silenzio della responsabilità: «L’“esperienza mistica”. Sempre: qui e ora, nella libertà che si accompagna al distacco, nel silenzio che nasce dalla quiete. Ma questa libertà è una libertà nell’agire, questa quiete è una quiete in mezzo agli uomini, […] nell’attenzione ricettiva del dire di sì». Sono passati cinquant’anni da allora: il suo diario è tradotto in moltissime lingue, ma circola oggi quasi in clandestinità: rispetto agli editori che lo pubblicarono negli anni Sessanta (Random, Plon, Rizzoli, etc.) dimora oggi ai margini dell’editoria e della lettura (Qiqajon, Éditions du Félin, Trotta); eppure venne definito - ed è - «il Marc’Aurelio del XX secolo» per l’intensità della meditazione e la raffinata cultura che innerva il libro.Pochi mesi dopo, moriva Franz Fanon, il cui libro, appena edito, I dannati della terra (tradotto da Einaudi nel 1962 con prefazione di Jean-Paul Sartre) non solo toccava al vivo il problema - di cui era stato vittima lo stesso Hammarskjöld - della decolonizzazione, da lui vissuta in Algeria, ma guardava ai compiti di una nuova società mondialmente meno iniqua. Fu un libro che Giovanni Giudici poneva ad extra sul piano ch’egli viveva ad intra meditando Gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola.E dunque ricordo anch’io insieme Hammarskjöld e Fanon, perché ciò che è in questione, non è la memoria ma il presente: il nostro presente non è più in grado di contenere (e perciò di “comprendere”) quell’ordine di grandezze. Non si tratta tanto di imbarbarimento - che pure è vistoso e doloroso - della vita politica, ma del suo rimpicciolimento. Eugenio Montale fu profetico, applicando a sé le misure del proprio tempo: «Lascio poco da ardere / ed è già troppo vivere in percentuale. / Vissi al cinque per cento, non aumentate / la dose» (Per finire, poesia che suggella il Diario del 1971 e del 1972). Al “massimalismo” ideologico è seguito, nella politica e negli ideali, il “minimalismo” del farsi continuamente lo sconto, sicché il “vivere al cinque per cento” è, oggi, già un traguardo.   L’errore sarebbe perdere il poco tempo che rimane cercando le colpe, inseguendo le tracce della corruzione, della disgregazione; il gesto dev’essere più risoluto, quale troviamo in testa al diario di Hammarskjöld: «solo la mano che cancella, può scrivere ciò che è giusto». Cancellare senza esitazioni lo sgorbio d’oggi, cancellare non correggere, invischiandosi così nei cunicoli del miasma; ma per scrivere che cosa, nella vita, nei costumi, nella politica? Una delle risposte è nell’aula silenziosa che vi accoglie al Palazzo di Vetro, a New York, e che Dag Hammarskjöld volle progettare. Inaugurandola ne additò la finalità: «Ciascuno di noi si porta dentro un nocciolo di quiete, circondato di silenzio. Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione al servizio della pace, deve avere una sala dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L’obiettivo è stato creare in questa saletta un luogo le cui porte possano essere aperte ai terreni infiniti del pensiero e della preghiera. Qui si incontreranno persone di fedi diverse, e per questo motivo non si potrà usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione. Esistono però cose semplici, che parlano a tutti noi nella stessa lingua. Abbiamo cercato questo tipo di cose, e crediamo di averle trovate nel raggio di luce che colpisce la superficie scintillante della roccia massiccia.[…] La luce del cielo dà la vita alla terra su cui tutti ci troviamo: un simbolo, per molti di noi, di come la luce dello spirito dà vita alla materia».Occorre riprendere alla lettera, per i nostri figli e per i nostri nipoti, l’allenamento a misurarsi con ciò che è grande: «Nel tuo vento. Nella tua luce. / Quanto è piccolo tutto il resto, quanto siamo piccoli noi; e felici in ciò che solo è grande» (nota del 24 dicembre 1957). Ma in quel “grande” non dobbiamo “installarci”, men che mai pensare di “esserci”: riprendendo un’immagine del Salmo CXXVII: «Sicut sagittae in manu bellatoris, Hammarskjöld annoterà: «Mi hai afferrato una volta, o Lanciatore. Ora nella tua tempesta. Ora verso la tua meta» (nota del 26 settembre 1957); questo rimane, anche per noi, il punto: limare in noi il peso, acuminare l’attenzione al mondo, pronti a essere scagliati.
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