sabato 8 settembre 2018
Un ricordo dell’autore e critico letterario scomparso a maggio. L’occasione è la presentazione al Premio Boccaccio delle lettere inedite inviate al fratello Piero detenuto per errore nel caso Montesi
Leone Piccioni

Leone Piccioni

COMMENTA E CONDIVIDI

Il caso Montesi esploso il 9 aprile 1953 col reperimento del cadavere di Wilma Montesi su una spiaggia nei pressi di Roma, portò a uno scandalo mediatico-giudiziario (antesignano dei tanti seguiti nei decenni) che coinvolse politica e bel mondo romano, con l’arresto, fra gli altri, di Piero Piccioni (pienamente assolto nel 1957), fratello di Leone e figlio di Attilio, esponente Dc, costretto a dimettersi da vicepresidente del Consiglio. Il libro di Leone Piccioni, "Lungara 29. Il caso Montesi nelle lettere a Piero" (Polistampa, pagine 208, euro 16), presentato a Certaldo per il Premio Boccaccio, propone le lettere inedite di Leone a Piero ingiustamente detenuto fra settembre e novembre 1954.


Quel giorno i quotidiani ci informarono che Leone Piccioni era morto. Il mondo della cultura perdeva il critico più penetrante del poeta, amico e maestro, Giuseppe Ungaretti; al Paese veniva meno uno studioso della letteratura assai vicino a chi dichiarava di prediligere un umanesimo che «viene prima», aveva scritto, «di ogni altra sapienza». Giuseppe Conte, altro fedele interprete di quell’ideale supremazia, aggiungeva che Piccioni, l’elegante intellettuale mai piegatosi al mero ideologismo, e soprattutto non incline alle seduzioni prorompenti, diceva toscanamente franco, e quindi in regola non solo con la testa - che gli bastava essere un semplice «cattolico liberale». Aveva il gusto, e lo stile, della sincerità. E si teneva al largo dalle lusinghe, la cosiddetta visibilità, per non venire meno a una sorta di 'talento morale', riconoscendo le qualità di chi non amava; ma rispettando i nomi risonanti come i loro linguaggi, ai quali continuava porre accanto temerari confronti manzoniani o addirittura leopardiani. E tuttavia era incapace di ignorare la qualità delle costruzioni anche ardite, purché non perentorie e liquidatrici, misurando la crescita di una significante modernità. Gli parlammo del Premio Boccaccio, anche se altri impegni, a cominciare dalla sua simpatia per la Radio - diventerà vice direttore generale della Rai - lo trattenevano su vari fronti. Alla dolce e coraggiosa signora Piccioni, ai due figli: Gloria - che rappresenta, (è accaduto anche oggi a Certaldo con un bel libro) la passione del padre - e Giovannino, che è un poeta, lascio un ricordo personale. Ho davanti agli occhi un’intervista televisiva, tra le più aperte e rivelatrici, che fece di un incontro di Leone Piccioni con Montale uno spettacolo non solo per un pubblico poco avvezzo alle, oltretutto, inaspettate novità. Chiederò alla Rai, a nome di noi tutti, la cortesia di replicare una splendida teca: Leone, un giorno, dirà di aver visto per la prima volta Montale che si commuove, fino alle lacrime.

Ci voleva Piccioni per indurre il poeta a vincere la sua celebre riluttanza. Non tralasciava tuttavia gli slanci che lo legavano agli scrittori, per esempio Gadda, Vittorini, Bilenchi, e ai poeti tra cui Luzi, Caproni, Bertolucci, Bigongiari, Parronchi; e Sbarbaro, che fece rivivere a Leone i versi scritti per il padre: «Padre, se anche tu non fossi mio padre, se anche fossi a me un estraneo, io per te stesso ti amerei». Al dolore del poeta si unirà quello di Leone per la morte del suo amatissimo padre. Nonostante la profonda predilezione ungarettiana, Piccioni non è mai venuto meno all’eleganza di cui si è detto, coltivandone le relazioni. Scorrono, con i loro valori, ne cito appena una parte, le figure magistrali di De Robertis, Bo, Contini, Cecchi; e sarà una serata felice che Montale proporrà a Leone quella di dire insieme, a memoria, una poesia tratta dagli Ossi di seppia, cioè: Il male di vivere ho incontrato. E quando Piccioni vide che a Montale erano scese le lacrime il poeta proverà a difendersi dicendo di aver percepito il suono di una poesia, che lo colpiva più di ogni altra. Forse anche di uno speciale sentimento. I versi iniziali erano questi: «Bene non seppi/ fuori del prodigio/ che schiude la divina indifferenza…». Queste righe partono da un segno forte del Premio Boccaccio (la presentazione del libro con le lettere al fratello Piero in carcere per il caso Montesi) presieduto da Simona Dei, un’inedita e quindi ancor più straordinaria animatrice culturale, cui si uniscono la Giuria nella sua completezza e tutte le personalità che, sotto ogni prezioso profilo, sono diventate amiche di ciò che, non solo da oggi, costituisce uno dei più chiari avvenimenti culturali. Ai fondatori, a chi sta innovando l’evento, che dal prossimo anno potrà dare al Premio una dimensione nazionale, e a chi incoraggia la nostra fedele e partecipe volontà, rivolgiamo il grazie più vivo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: