domenica 21 giugno 2020
Il 25 giugno 1950 scoppiava la guerra tra Pyongyang e Seul. Da allora la penisola è area di minacce nucleari e tensioni tra superpotenze. Parla l’esperto Paik Haksoon
Profughi in fuga dall’invasione nordcoreana iniziata il 25 giugno 1950

Profughi in fuga dall’invasione nordcoreana iniziata il 25 giugno 1950 - Ansa-Cd

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Settanta anni fa scoppiava la Guerra di Corea. Sette decenni non sono bastati per riportare la pace nella penisola coreana e la recrudescenza periodica della tensione tra Nord e Sud, che coinvolge inevitabilmente i rispettivi alleati, fa della regione un’area a elevato rischio di conflitto che minaccia la pace e la stabilità mondiali. Della situazione attuale e delle ragioni di questa instabilità persistente, abbiamo discusso con Paik Haksoon, presidente del Sejong Institute, think tank indipendente con base in Corea del Sud e tra i maggiori esperti della situazione politica nordcoreana, dei rapporti inter-coreani, delle relazioni tra Stati Uniti e Repubblica democratica e popolare di Corea (la Corea del Nord) con le scottanti questioni nucleare e missilistica.

A 70 anni dall’avvio di un conflitto devastante che cosa impedisce di raggiungere la piena riconciliazione e la pace nella penisola coreana?

A bloccare la riconciliazione, la pace e l’unificazione sono sostanzialmente tre questioni. La prima è la rivalità e la politica delle grandi potenze Cina e, un tempo, l’Unione Sovietica (con la Russia che esercita oggi molta meno influenza) da un lato, dall’altro gli Stati Uniti. La seconda riguarda i contrasti tra gli Usa e la Repubblica democratica popolare di Corea (il Nord) nel raggiungimento dei rispettivi obiettivi. La terza è la competizione tra i due stati coreani riguardo il monopolio dell’autorità e della legittimità su tutta la penisola. La rivalità tra due realtà che vorrebbero ciascuno unificare l’intera Corea secondo le proprie condizioni ha sempre limitato fortemente la cooperazione che avrebbe aperto le porte, e in certi momenti è sembrato potesse farlo, all’unificazione.

Può meglio descrivere i primi due punti? Riguardo il primo, posso dire che per decenni dalla divisione alla fine del conflitto nel 1953, le grandi potenze hanno preferito mantenere lo status quo per garantire i rispettivi interessi in Asia nord-orientale piuttosto che propiziare l’unificazione. In altre parole, hanno scelto di mantenere le proprie sfere d’influenza nel contesto più ampio delle loro politiche di rapporti internazionali, utilizzando ciascuno le due Coree come un’area-cuscinetto. Quanto al secondo punto, gli Stati Uniti vorrebbero denuclearizzare la Corea del Nord e smantellare il suo potenziale missilistico intercontinentale senza fornire garanzie di sicurezza ai nordcoreani. La scelta degli Stati Uniti è evidente nell’applicazione in corso delle più dure sanzioni finora e con frequenti accenni all’opportunità di un 'cambio di regime' a Pyongyang. La Corea del Nord, da parte sua, vuole garanzie di sicurezza, la rimozione o allentamento delle sanzioni e che gli Usa fermino le pressioni per un cambio di regime. Insomma la fine delle politiche contrarie alla Corea del Nord sui piani militare, diplomatico ed economico.

In che modo il conflitto è oggi ricordato e compreso nella Repubblica di Corea (il Sud) e quanto radicato è tra la popolazione il bisogno di pace e riconciliazione?

Chi ha vissuto il tempo del conflitto negli anni Cinquanta del secolo scorso ha ancora una memoria vivida della guerra e delle atrocità, ma le giovani generazioni ne vengono a conoscenza dai libri di storia. Anche il bisogno di pace e riconciliazione è percepito in modo differente. Generalizzando, i giovani vorrebbero vedere una situazione più distesa tra i due Paesi ma tendono a opporsi all’uso di troppe risorse per raggiungere questo obiettivo. Sono interessati maggiormente ai benefici economici e al benessere immediato e concreto offerti dalla loro patria sudcoreana.

Che cosa la comunità internazionale ha fatto e che cosa ha invece mancato di fare per sostenere concretamente una pace duratura?

Credo che la comunità internazionale sia stata più interessata a prendere le parti delle grandi potenze invece che sostenere le prospettive di pace nella penisola coreana. In altre parole, essa è stata fortemente influenzata da Stati Uniti e Cina (particolarmente dei primi) quando si sono dovuti confrontare con la situazione coreana. I 'colloqui a sei' - due Coree, Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone - sulla denuclearizzazione nordcoreana si sono di fatto arenati nel 2009 dopo vari cicli di incontri.

Quali possibilità sono rimaste per una penisola pacificata e denuclearizzata?

Attualmente i rapporti tra Washington e Pyongyang sono invischiati nella sfiducia reciproca, bloccati dalle divergenze di obiettivi politici, da una situazione pre-elettorale Usa in cui tutto può succedere... Ci saranno naturalmente altre opportunità di negoziato con il Nord per una Penisola coreana pacifica e libera dal nucleare una volta superate le elezioni americane e con la formazione di un nuovo governo nel gennaio 2021. Chi uscirà vincitore tra Joe Biden e Donald Trump, inevitabilmente dovrà impegnarsi a trovare soluzioni alla minaccia potenziale portata dai missili balistici nordcoreani agli Stati Uniti. In questo caso vi è solo un’opzione possibile, quella dei negoziati con la Repubblica democratica e popolare di Corea, perché una soluzione militare non può essere utilizzata per la presenza del deterrente nucleare del regime nordcoreano. Questa è esattamente la ragione per cui gli Stati Uniti decisero di partecipare all’incontro di Singapore il 12 giugno 2018, primo dei tre “faccia a faccia” tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, e cercare una soluzione diplomatica nonostante il dibattito accalorato in corso e la tentazione dell’uso della forza per risolvere la questione dei missili nordcoreani dotati di testate atomiche, come testimoniato dall’innalzamento della tensione tra dicembre 2017 - gennaio 2018 che ha acceso il rischio di un conflitto aperto, poi rientrato.

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