sabato 6 giugno 2020
Giuseppe Dalla Torre racconta quattro generazioni della sua famiglia al “servizio” della Chiesa attraverso la collaborazione e l’amicizia con i Pontefici
Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa dal 1991 al 2014

Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa dal 1991 al 2014 - Siciliani

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È ben difficile che la storiografia, specie quando ambisce a raggiungere i “piani alti” della disciplina, si lasci suggestionare e meno che mai influenzare dalla memorialistica. Indipendentemente infatti dalla sua affidabilità filologica, sempre incerta, nella memorialistica prevale inevitabilmente il gusto, storiograficamente sospetto, per il particolare, per l’aneddoto, per il possibile capovolgimento di immagini consolidate (presentate il più delle volte come stereotipate). Per di più il memorialista percepisce, scrivendo le sue memorie, di star costruendo non solo un quadro dell’epoca in cui gli è toccato vivere, ma anche e forse soprattutto un’immagine di sé, che difficilmente potrebbe essere affidata ad altra penna: e questo, inevitabilmente, condiziona la sua narrazione. Ciò non di meno la memorialistica possiede un fascino tutto suo e chi non riesce a percepirlo non immagina nemmeno lontanamente ciò che viene a perdere. Perde infatti la possibilità di percepire il tutto nel frammento (per riprendere il felicissimo titolo di un’opera di Balthasar); di percepirlo, non certo di conquistarlo, ma ciò non di meno di percepirlo in una delle sue innumerevoli dimensioni di autenticità. Naturalmente ciò vale a condizione che il memorialista rispetti la sua “memoria” (il che implica un’onestà intellettuale che non è da tutti) e non pretenda di fare della sua memoria l’unico e meno che mai l’assoluto paradigma della verità storica. Quando però queste condizioni sono rispettate, l’opera del memorialista non solo è preziosa, ma a volte può essere davvero insostituibile.

Dando al suo ultimo libro (che fa seguito a numerosi e ben più austeri trattati di diritto canonico ed ecclesiastico) il titolo Papi di famiglia (Marcianum press/Studium, pagine 172, euro 16) Giuseppe Dalla Torre ha voluto mettere subito sull’avviso il lettore: i Papi, di cui si parla nel libro, sono quelli con i quali ben quattro generazioni della famiglia Dalla Torre hanno avuto relazioni dirette e personali, di carattere molto diverso (data ovviamente la diversa personalità umana e psicologica degli uomini che si sono succeduti sulla cattedra petrina), ma tutte caratterizzate da un profondo senso della cattolicità, intesa come la percezione che nella figura del Pontefice, e in essa soltanto, trova incarnazione storica la volontà di Gesù, come Cristo, di fondare la “sua” Chiesa. Il primo Papa presentato nel libro è San Pio X, ma è presente anche una sorta di prologo, nel quale si dà notizia di Leone XIII. Da Pio X in poi nessun Papa è pretermesso: Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I (che a causa della brevità del pontificato occupa ben poche pagine del libro), Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. Una succosa appendice è poi dedicata alla figura di Pio IX, col quale nessun Dalla Torre ha avuto rapporti diretti, ma che ha costituito per la famiglia un punto di riferimento essenziale, per ragioni che il lettore curioso potrà scoprire. Il libro consiste essenzialmente nella narrazione di singoli episodi memorialistici, che appartengono a un duplice ordine narrativo: quello immediato, che tocca diversi registri, a volte austeri, a volte lievi o addirittura intimi, e quello che invece fa rinvio all’immagine ecclesiale del Pontefice. Di qui la possibilità di fermarsi di tanto in tanto nella lettura e di attivare, anche a partire da piccoli eventi che vengono portati all’attenzione, riflessioni di ordine ben più ampio.

È in tal modo che la memorialistica, senza alcuna pretesa di occupare posti che non le competono, si offre a coloro che amano la storia non perché la ritengano maestra di verità, ma più semplicemente e più umilmente perché avvertono in essa la misteriosa capacità di aprire la mente (e, non di rado, perfino i cuori) al mistero delle relazioni interpersonali, a volte calde, a volte fredde, a volte piene di tensioni, a volte invece inaspettatamente fusionali, ma tutte in qualche modo portatrici di un loro significato che potremmo definire “metafisico”. E questo non solo perché “metafisica” è la figura del Papa (di ogni Papa), ma perché “metafisica” è la figura individuale di ciascuno di noi, di ogni essere umano, che la fede ci convince essere stata voluta e creata da Dio per se stessa. Ne segue che nell’incontro tra due dimensioni “metafisiche”, ambedue nobili, ma l’una sovrana (quella del Pontefice), l’altra, la dimensione del singolo credente, inevitabilmente, a confronto di quella, “umile”, e dalle particolarità storico– sociali nelle quali l’incontro si concretizza (un’udienza, una nomina o l’attribuzione di un incarico, fino alle più semplici e a volte dolcissime manifestazioni di af- fetto o di riverenza, quali per esempio anche un semplice biglietto augurale) emerge il mistero della fraternità universale tra gli uomini, che costituisce il fondamento granitico della spiritualità cristiana.

È possibile trovare in Papi di famiglia molto più di quanto si è appena detto e questo bene emerge dalla prefazione del cardinale Pietro Parolin per il quale il libro pone in evidenza il mutare dell’immagine che il Papato nel corso del Novecento ha offerto di sé; l’evolversi del ruolo assunto negli anni, nell’animazione della Chiesa e della società civile, dal laicato cattolico, in particolare da quello formatosi all’interno dell’Azione Cattolica; e soprattutto la risposta pragmatica, prima ancora che dottrinale, con cui la Chiesa ha fronteggiato le dinamiche della secolarizzazione. Alla radice però di tutte queste diverse possibili prospettive di lettura, resta la narrazione, stilisticamente impeccabile, di situazioni esistenziali concrete, ognuna collocata in un suo peculiare e inalterabile contesto, reso vivissimo dalla memoria dell’autore e dalla pietas che lo ha portato a scrivere queste pagine. Terminata la lettura restano nella mente una serie di “medaglioni” papali, di rara originalità e altrimenti non accessibili, ma soprattutto la sensazione che dietro ciascun “medaglione” si possono intravedere destini umani particolarissimi, generalmente offuscati da quelle immagini stereotipate dei Pontefici, che vengono ordinariamente e inevitabilmente offerte al grande pubblico. Di stereotipato in questo libro non c’è nulla: c’è solo una forte e rara carica di umanità.

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