mercoledì 1 gennaio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Tutto ebbe inizio nel 1981 a San Francisco, quando nello studio del professor Jay Levy si presentò Ken, 23 anni… «Troppo pochi per la sintomatologia che presentava: aveva un sarcoma di Kaposi, un cancro tipico degli anziani, ero sorpreso. All’epoca stavamo studiando se un virus potesse essere responsabile del tumore, così ci mettemmo in caccia». Il professor Jay Levy, ebreo nato nel 1938 negli Usa, è una figura chiave per ricostruire la scoperta dell’Hiv (causa dell’Aids), avvenuta esattamente trent’anni or sono, nel 1983. All’epoca era un giovane ricercatore, oggi all’università di San Francisco è docente di oncologia e direttore del Laboratorio di ricerca per il cancro e l’Aids.Dunque cercavate un virus responsabile dei tumori e avete trovato tutt’altro.«Studiando quel giovane, ho constatato che il suo sistema immunitario non funzionava, era inerme. Non pensavamo affatto a un virus che potesse aver provocato quel deficit immunologico, cercavamo invece il virus del suo sarcoma. Solo l’anno dopo abbiamo deciso che quel virus aveva a che fare in qualche modo sia con il tumore che con quel sistema immunitario sfasciato. Oggi sappiamo che era proprio così, il sarcoma di Kaposi era la risposta tipica dei ragazzi con Aids, allora sconosciuto. Nei mesi successivi tra i clinici nelle varie città degli Stati Uniti ci si confrontava per capire come mai improvvisamente tanti giovani presentassero quel cancro».Quando si diffuse la notizia della misteriosa malattia, il mondo andò nel panico e si attese parecchio prima di rendere nota la cosa.«Su Ken e poi su tanti altri ragazzi noi dell’équipe di San Francisco iniziammo a cercare il responsabile dell’immunodeficienza, ma trovammo forti opposizioni proprio nel nostro ateneo, i cui vertici temevano diventasse "l’università della malattia": era l’inizio dello stigma. Il nostro gruppo di otto scienziati ha dovuto essere molto coeso e combattere, la nuova malattia faceva una paura tremenda e si diffondevano voci incontrollate sulla sua origine, attribuita perfino all’inquinamento dell’aria. Peggio ancora quando si è scoperto che si trasmetteva con il sangue, allora scoppiò il terrore delle zanzare. Spiegammo invano che nelle zanzare il virus non aveva modo di riprodursi, ma il nostro capo ci impedì di fare pubblicazioni, fino al 1983. Non avemmo alcun sostegno economico alla ricerca e nessuno dei gruppi di lavoro nelle varie università ebbe così modo di collaborare, la competizione fu grande. Noi a San Francisco, però, eravamo orgogliosi di aver fatto squadra».Come si arrivò al nome Hiv?«Noi a San Francisco avevamo chiamato il virus ARV (Aids associated retrovirus), i francesi, che lo avevano isolato sei mesi prima, LAV (Lymphadenopathy associated virus), l’anno dopo l’équipe di Washington HTLV3. Nessuno voleva cedere, finché nel 1986 un comitato di scienziati coniò il termine Hiv, ovvero Human immunodeficiency virus. Nome a parte, noi riuscimmo a dimostrare che in realtà erano tutti virus differenti uno dall’altro: addirittura in ogni singolo malato di Aids proliferano virus diversi, anche di pochissimo».Se è così, sarà quasi impossibile trovare una cura per l’Aids…«La vera sfida dopo 30 anni è ancora questa. L’Hiv è sfuggente perché ogni singola replicazione comporta una mutazione: la gran parte dei virus muore, resta la mutazione più forte e ciò causa una selezione naturale. Per di più muta casualmente, in modo non prevedibile. Ogni volta può quindi sviluppare una resistenza al farmaco già trovato, ecco perché vince. Ma addirittura questo accade anche in ogni singola persona, nell’organismo della quale continua a replicarsi e mutare. Lotta impossibile? No, grazie a scoperte importantissime».Come quella della proteina misteriosa grazie alla quale alcune persone sembrano inattaccabili dall’Aids.«Sappiamo che non tutte le persone sieropositive hanno poi sviluppato la malattia, hanno in sé l’Hiv ma non l’Aids, e convivono benissimo con il virus anche per decenni: le chiamiamo long term survivors, "sopravviventi a lungo termine". Perché? Se fossimo riusciti a scoprire il loro segreto avremmo potuto replicarlo per tutti gli altri… Noi abbiamo scoperto che tali sopravviventi hanno la capacità di produrre una proteina speciale che, a infezione avvenuta, inibisce l’Hiv. Alcuni dei miei sieropositivi hanno questa protezione naturale da 35 anni e non hanno l’Aids! Anche alcune mogli di malati con emofilia non hanno mai contratto la malattia dai mariti e sanno produrre la magica proteina, e ciò significa che questa un giorno potrebbe essere il vaccino».Cosa manca ancora?«Ancora non siamo riusciti a isolarla. La via però è quella giusta. Un esperimento ha dato risultati chiarissimi: nella coltura di cellule di persone infettate e non malate abbiamo tolto la proteina in questione e di colpo il virus è proliferato; rimessa la proteina, subito è regredito. Quando i miei sopravviventi mi chiedono "perché io?", rispondo sempre "perché hai scelto i genitori giusti", è un fattore genetico. La speranza per il futuro è poter presto usare la nostra stessa natura al posto dei farmaci, molto costosi e spesso tossici, specie in Africa dove i rimedi per gli effetti collaterali sono introvabili. Se ci riusciremo dovremo ringraziare una categoria eroica, i sopravviventi a lungo termine: sono loro la nostra speranza, da decenni ogni mese gratuitamente accettano di venire a dare il loro sangue per aiutare la ricerca, ormai dopo 30 anni sono membri effettivi del mio laboratorio. Addirittura accettano la mia filosofia di non prendere farmaci, e dopo decenni sono ancora sani».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: