giovedì 30 luglio 2020
La squadra calabrese ha conquistato la Serie A grazie anche alle prodezze del suo brasiliano, arrivato in Italia sognando il pallone e partito dai dilettanti mentre consegnava elettrodomestici
L’attaccante del Crotone Junior Messias, autore di 6 gol in questa stagione che ha riportato la squadra calabrese in Serie A

L’attaccante del Crotone Junior Messias, autore di 6 gol in questa stagione che ha riportato la squadra calabrese in Serie A - -

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Sulla spiaggia dorata crotonese, il pallone rimbalza piano. Lo insegue un bambino con la maglia rossoblù. Sulle spalle ha il numero 30, quello del suo idolo, quel Messias del calcio di Calabria che oggi, su questi lidi, emoziona più di osannati palloni d’oro come il quasi omonimo Messi. Certi sogni, come certi amori, non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Così, due anni dopo l’infausta retrocessione del 2018, il Crotone ha coronato per la seconda volta il sogno di giocare in Serie A, facendo nuovamente impazzire di gioia una città che non conosce spesso occasioni di rivincita. «A mano a mano…», intonano da giorni i tifosi, recitando le strofe composte da Rino Gaetano, aedo di questa terra. E sulle bandiere appese ai balconi, ogni “A” è in maiuscolo, per celebrare il roboante bis, quattro anni dopo la prima storica promozione. Nella terra promessa della massima serie, dopo due stagioni di purgatorio nella cadetteria, la squadra rossoblù è riapprodata anche grazie alle mirabolanti prodezze del suo Messias, mezzala brasiliana che di nome fa Junior Walter e mette insieme un cognome che è un segno del destino, un piede mancino che accarezza la bola e una vita che sembra un romanzo.

«Ho sempre sognato di arrivare in Serie A. Grazie a Dio ce l’ho fatta – raccon- ta Junior ad “Avvenire” –. Quando giochi nelle categorie minori sembra inverosimile. Bisogna lavorare duro e non mollare mai, perché la vita non ti regala niente…». Potrebbero sembrare frasi fatte, da bignamino del calciatore intervistato. Ma non nel suo caso. Nato a Belo Horizonte nel 1991, il piccolo Junior tira i primi calci con la maglia blu del Cruzeiro, blasonata compagine fondata da emigranti italiani cent’anni fa. È un attaccante, ha classe e fiato da vendere, è fulmineo come un serpente corallo e ha quel dribbling funambolico che è un marchio di fabbrica verdeoro. A vent’anni emigra e raggiunge il fratello a Torino, all’ombra della Mole, mentre la Juventus sta iniziando la serie record dei nove scudetti. Lui guarda le partite in tv e sogna. Nel frattempo, per campare, consegna a domicilio frigoriferi e lavatrici, che spesso deve caricarsi letteralmente in spalla, spaccandosi la schiena. Lo fa per quattro anni, grazie a un accordo con un negoziante peruviano che lo ha visto danzare su un campetto di periferia: gioca per la nostra squadra, è la proposta, e in cambio ti diamo un lavoro come fattorino. Senza permesso di soggiorno, Junior non ci pensa su. Abita in una casetta del quartiere Barriera e diventa la star dello “Sport Warique”, squadretta di peruviani iscritta al campionato amatoriale Uisp. Qualcuno ne parla a mister Ezio Rossi, vecchia gloria granata che in quel periodo dà una mano per passione a un team di rifugiati. Il mister va al campo del Cit Turin e quasi non crede ai suoi occhi: il ragazzo è un fenomeno. Lo prende da parte e gli racconta di quando lui giocava nel Toro insieme a un altro Junior, il campione brasiliano della nazionale del 1982. Poi lo segnala al Fossano, squadra piemontese che galleggia in Promozione. Ma l’ingaggio proposto è misero: Junior ha moglie e un bimbo piccolo, ringrazia, declina e resta a consegnare elettrodomestici. È sconfortato, pensa che la grande occasione sia sfumata: «Ho mangiato arroz e pedras pur di giocare a pallone – dice triste al suo mentore –. Ma ora ho famiglia e debbo pensare a loro».

Ma Rossi non molla. Nel 2015 allena il Casale in Eccellenza e convince i dirigenti a metterlo sotto contratto. L’offerta stavolta è uno stipendio normale, 1.500 euro al mese, che gli consente di lasciare le consegne di frigoriferi e potersi allenare. Junior ricambia con 21 gol e porta le maglie nere in cima alla classifica. Sulle spalle ha il 10, non il 30 di adesso, e su YouTube c’è uno spezzone di partita col Saluzzo in cui col sinistro pennella nel sette una foglia morta, su punizione, degna di Zico. In un’amichevole col Genoa, si fa notare da Gian Piero Gasperini, poi vate dell’Atalanta dei record. A questo punto, se fossimo in un film hollywoodiano, scatterebbe il lieto fine, con ingaggio in A e convocazione nella Seleção. Ma la vita vera è un trapezio da equilibristi e Junior deve ancora tribolare: passa al Chieri, in serie D, infila la porta 15 volte in 34 match e vince la Coppa Italia di categoria. Ma la Pro Vercelli, in quel momento in B, non può tesserarlo a causa di un cavillo burocratico kafkiano: il divieto di assumere giocatori extracomunitari, se provenienti dai dilettanti. Così il brasileiro finisce in provincia di Novara, al Gozzano, sempre in serie D. Anche lì fa meraviglie: ancora ricordano un suo pallonetto letale da 25 metri. Ci resta fino al 2019, portando il Gozzano in C per la prima volta.

E si apre l’ennesima sliding door: le sue gesta attirano il fiuto del direttore sportivo rossoblù Beppe Ursino e del patron Gianni Vrenna (un’altra loro scoperta, il giovane della Sierra Leone Augustus Kargbo, prestato dal Crotone alla Reggio Audace, l’ha appena portata in B dopo 21 anni). Così Junior saluta il Piemonte e trasloca nella città pitagorica. Porta con sé valori semplici e inossidabili: l’amore per famiglia (la moglie Thamyrys e i figlioli Miguele ed Emanuel), la perseveranza nel lavorare duro e soprattutto la fede. Frequenta la Chiesa evangelica e quando segna, esulta col dito al Cielo come un altro brasiliano “atleta di Cristo”, il milanista Kakà: «La fede per me è la cosa principale, Gesù Cristo è tutto nella mia vita – ci spiega –. Quando si va in campo bisogna fare la differenza, ma non calcistica, la differenza umana: fare vedere a tutti l’esempio di un buon cristiano, di una persona che segue Gesù». Il resto è storia recente. A 29 anni, in B Messias mette in campo gol e assist da cineteca. Con lui, il Crotone è tornato uno squadrone, grazie al sapiente 3– 5–2 di mister Giovanni Stroppa, che sa affiancare giovani innesti a veterani come il portiere Cordaz o il centrocampista Barberis (ora acquistato dal Monza di Berlusconi). Un meccanismo perfetto, che non si è inceppato neppure alla ripresa del campionato dopo la sosta–Covid.

«Nell’anno della pandemia, il Crotone è la gioia mia», dice uno striscione innalzato in piazza. Con raffiche di gol (6 li ha firmati Junior, 20 il capocannoniere Simy), gli squali consolidano un granitico secondo posto con 68 punti e vanno in A insieme allo schiacciasassi Benevento. Da venerdì scorso la città è in festa, cullata dalle note del cantautore Sergio Cammariere e benedetta dalle preghiere di tifosi doc come monsignor Pino Caiazzo, arcivescovo di Matera–Irsina. Nella promozione, il presule legge un’occasione di rinascita. «È una festa per tutta la Calabria, dimostra che i sogni possono diventare realtà – considera monsignor Caiazzo –. Ora saremo da Serie A se sapremo smettere di piangerci addosso, svestendoci del vittimismo e credendo nelle nostre potenzialità. E se sapremo vincere la partita della legalità, dicendo no a quella cultura mafiosa che ci mette paura e ci penalizza ». Anche Junior Messias, uomo di molta fede, guarda avanti, al nuovo capitolo della favola sui campi vellulati della serie A. E ai calciatori in erba che inseguono un sogno, dice di sgobbare in allenamento e di avere fiducia: «Per me, qualche anno fa, sembrava una cosa impossibile, ma non ho mai mollato, ci ho sempre creduto. Nella vita bisogna sempre avere speranza».

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