La crisi economica picchia duro anche sullo sport dilettantistico. Due i problemi più evidenti: il calo delle sponsorizzazioni delle aziende in sofferenza di utili alle società sportive minori e la mancanza di fondi per la costruzione di nuove strutture, come palestre e campi di gioco. Morale: si fa sempre più fatica ad appassionare i giovani allo sport praticato, con evidenti ricadute negative anche sulla salute e la crescita complessiva di questi ragazzi. Questo il quadro che emerge dall’indagine conoscitiva sullo sport dilettantistico in Italia, realizzata dal senatore del Pd, Antonio Rusconi, che si è fatto promotore della questione nella Commissione Sport di Palazzo Madama, presieduta da Guido Possa (Pdl). La relazione, alla quale ha collaborato anche il presidente di Federnuoto, senatore Paolo Barelli (Pdl), sarà portata quanto prima in aula con l’obiettivo di arrivare a una legge-quadro bipartisan all’inizio del 2010, magari riuscendo a inserire un’apposita postazione già nella Finanziaria del prossimo anno.«Lo sport dilettantistico – spiega il senatore Rusconi, a sua volta fondatore e attuale presidente di una piccola società di provincia, la Polisportiva centro giovanile di Valmadrera (Lecco), 35 anni di storia e oltre 500 atleti iscritti – rappresenta il 95% del movimento sportivo italiano. Si tratta di una rete fittissima sul territorio, fatta da migliaia di società e milioni di volontari, che non ottiene quasi mai un titolo sui giornali ma garantisce una sana e corretta crescita educativa a tantissimi bambini, ragazzi e giovani. Mi è sembrato quindi indispensabile fare luce su un fenomeno che ha necessità di essere rafforzato e rilanciato. La scelta della legge bipartisan si spiega con la considerazione che l’Italia intera, non questo o quel governo, non può rimanere all’ultimo posto in Europa per l’attività motoria. Non è questo un problema di maggioranza od opposizione e, per questa ragione, in un’indagine appunto bipartisan come la nostra, l’auspicio è che si possa giungere a proposte condivise».Secondo una recente rilevazione Coni-Censis, in Italia ci sono oltre 95mila società e associazioni sportive dilettantistiche, mentre l’attività sportiva (agonistica o amatoriale) è praticata da 34 milioni di persone. In buona sostanza, più di un italiano di due è coinvolto in questo grande movimento che adesso, anche attraverso la voce dei rappresentanti dello stesso Coni e delle principali federazioni sportive, sentiti in audizione al Senato nel corso di quest’anno, reclama a gran voce l’attenzione delle istituzioni. «Con la crisi economica – ricorda il senatore Rusconi – le aziende hanno cominciato a realizzare meno utili e quindi sono venute meno anche gran parte delle sponsorizzazioni, che sono l’ossigeno di queste società. Senza, per molte sarà difficile se non addirittura impossibile continuare l’attività». Non si tratta quasi mai di grosse cifre, ma, per i bilanci di queste realtà di provincia, molte di piccola e piccolissima dimensione, anche 5-10mila euro in meno all’anno sono “voragini” finanziarie difficili da colmare.«Per questa ragione – prosegue Rusconi – nella nostra proposta di legge abbiamo inserito una norma per favorire, con apposite detrazioni fiscali, le donazioni da parte delle aziende e le liberalità dei cittadini, con un contestuale innalzamento del tetto massimo da 1.500 a 3mila euro. Inoltre – prosegue il senatore democratico – va data stabilità al 5 per mille a favore delle società sportive dilettantistiche, che non deve esser più, come avviene ora, contrattato di anno in anno con il Ministero delle Finanze. Infine, va resa gratuita (oggi costa 70 euro ndr.) la visita medica sportiva, ormai diventata, con l’abolizione della leva obbligatoria e della medicina scolastica, l’unico momento per una seria analisi epidemiologica della popolazione giovanile, sia maschile che femminile».Un secondo pilastro della riforma auspicata dal promotore dell’indagine parlamentare tocca da vicino il mondo della scuola e quello delle autonomie locali: i Comuni e le Province. Nelle intenzioni di Rusconi e del gruppo di lavoro che ruota intorno all’indagine, si dovrebbe infatti arrivare, al più presto, a una vera e propria convenzione tra il Ministero dell’Istruzione, quello dello Sport, l’Anci e l’Upi che preveda «l’obbligo dell’utilizzo completo delle strutture sportive scolastiche fuori orario». Secondo le stime «per difetto» in possesso del senatore Rusconi, «almeno il 40% delle palestre non è utilizzata in alcun modo oltre l’orario scolastico». La ragione di questo “spreco” risiede nelle «querelle inspiegabili tra personale della scuola e degli enti locali», che rende molto faticoso, per le società, avere accesso a queste strutture. «Soprattutto in un momento di crisi come questo – conclude Rusconi – vista la quasi impossibilità di prevedere risorse per nuove strutture, è assolutamente necessario utilizzare al meglio quelle che ci sono. Invece, ci sono ancora troppe palestre e campi sportivi chiusi il pomeriggio e la sera. E troppe squadre non sanno dove andare ad allenarsi».
La storia. Se avessimo mille metri di palestra in più potremmo accogliere molti più atleti. E, invece, per mancanza di spazio, siamo costretti a dire di no a tante persone...». È questo il cruccio più grande di Emanuele Lajolo, presidente della Reale società ginnastica di Torino, 2.500 atleti soci, la più antica società sportiva d’Italia e tra le più vecchie del mondo, fondata il 17 marzo 1844, esattamente undici anni prima dell’Unità d’Italia. Un palmarès imponente, composto da quattro ori olimpici, altrettanti titoli europei, oltre a 2 vittorie ai Giochi del Mediterraneo e a 93 titoli italiani, non hanno esentato la Reale società, meglio conosciuta a Torino come “palestra Magenta”, dal nome della via dove è situata, dal “problema dei problemi” lamentato da tante realtà sportive in Italia: la carenza di spazi per gli allenamenti. «Dopo le ultime Olimpiadi – aggiunge il presidente Lajolo – siamo stati costretti a chiudere le iscrizioni in forte anticipo, perchè avevamo già raggiunto il numero massimo di atleti che potevamo ospitare. È triste ma è così: non siamo in grado di dare una risposta esaustiva alla domanda di sport che bussa alla nostra porta».Per cercare di venire a capo del problema, la società si è rivolta anche al Comune di Torino, che però deve a sua volta fare i conti con i tagli dei trasferimenti statali al bilancio. Gli unici fondi pubblici che, in questi anni, sono arrivati alla Reale società ginnastica, sono stati quelli della Regione Piemonte per realizzare una mostra delle tante medaglie vinte dai suoi atleti. «Per una precisa scelta di campo effettuata dai miei predecessori e ribadita da me – ricorda il presidente Lajolo – non abbiamo mai voluto degli sponsor, per non essere vincolati a nessuno. Vogliamo essere indipendenti da tutto, anche dalla politica. Ci siamo riusciti negli anni del fascismo, vogliamo farcela anche oggi». Un obiettivo da perseguire attraverso un’attentissima gestione del bilancio e delle risorse (limitate) a disposizione. «Per continuare ad essere una società sportiva popolare – aggiunge Lajolo – abbiamo anche deciso di non aumentare le quote di iscrizione, che variano a seconda della disciplina intrapresa. Oltre alla ginnastica, alla pallacanestro e alle arti marziali, abbiamo recentemente aperto una scuola di circo professionale, che ci sta dando molte soddisfazioni. Certo, per mantenere in efficienza una struttura attorno alla quale ruotano, tra atleti e volontari, almeno tremila persone, a volte dobbiamo veramente fare i salti mortali».Da queste considerazioni, nasce allora un “appello” al Parlamento che si appresta a discutere una proposta di legge sullo sport dilettantistico. «A nostro giudizio – conclude Lajolo – la politica dovrebbe tenere in maggior conto quelle realtà, come la nostra, che fanno dello sport di qualità aperto a tutti un valore e non una merce da vendere. Sono convinto, infatti, che la nostra sia un’attività socialmente rilevante e, in definitva, un servizio per la salute dei cittadini. Non esagero, insomma, se dico che il nostro movimento è una risorsa e un patrimonio per il Paese. Una ricchezza per tutti».
I numeri. Un italiano su due pratica una qualche forma di attività sportiva. Lo rivela una recente indagine realizzata dal Coni e dal Censis, che stima la presenza, sul territorio nazionale, di oltre 95mila società sportive dilettantistiche, con 34 milioni di praticanti. La ricerca evidenzia la «pervasività, sia materiale che immateriale» dello sport nel nostro Paese. Per ciò che riguarda la prima dimensione, si sottolinea l’esistenza di uno “spazio elementare sportivo” ogni 379 abitanti e di una società ogni 631 abitanti; la tiratura media quotidiana dei giornali sportivi si aggira sul milione e 200mila copie (il 13% dell’intera tiratura giornaliera nazionale) e il business che ruota attorno allo sport tocca gli 8 miliardi di euro. Infine, sono 5 milioni e mezzo le famiglie abbonate a un canale satellitare o terrestre che trasmette sport e 22mila le ore annue di trasmissione televisiva, criptata e non, dedicata ad eventi sportivi. Per quanto riguarda i giovani, l’indagine evidenzia che il 65% dei ragazzini tra gli 11 e i 14 anni pratica in modo organizzato una disciplina sportiva, ma anche che una fascia sempre maggiore di adolescenti tra i 14 e i 17 anni, abbandona l’attività agonistica. La pratica sportiva, sottolinea l’analisi, diventa anche un importante fattore economico. Secondo gli esperti del Censis e del Coni, “vale” tra i 2,7 e i 3 punti di Pil. Stando a una rilevazione effettuata su un campione di 11mila associazioni sportive, in media ogni realtà può contare su 10-12 volontari che prestano lavoro volontario per almeno 5 ore la settimana. Complessivamente, si tratta quindi di 225 milioni di ore di volontariato annuo, per un controvalore di 3,4 miliardi di euro di lavoro equivalente (posta un’ora di lavoro pari a 15 euro). Infine, sport significa anche animazione territoriale. Per esempio, la Lega calcio dilettanti ha stimato che nel corso di un anno si giocano almeno 700mila partite. Inoltre, ciascuna società sportiva ha una media di 5 sponsor, dato che si traduce nell’impegno di oltre 400mila imprese nel sostegno delle attività di base. Sempre dal sondaggio sulle 11mila società campione, risulta che 1 su 4 organizza attività scolastiche, 1 su 3 dà luogo a progetti di orientamento sportivo, 1 sui 5 promuove lo sport come modello di integrazione e solidarietà e sempre 1 su 5 attiva agevolazioni per le categorie svantaggiate.