domenica 17 luglio 2016
Crippa, “Vedova” a tripla voce
COMMENTA E CONDIVIDI

Da Clitennestra, la rancorosa madre-padrona interpretata nell’Elettra di Sofocle al Teatro Greco di Siracusa tra le ovazioni del pubblico fino allo scorso 18 giugno, Maddalena Crippa passa alla tenera ed elegante Hanna Glawari della Vedova allegra di Franz Lehár, che stasera debutta, in una versione (col titolo a rovescio, L’allegra vedova) tutta ritagliata su di lei, al Teatro Ristori di Cividale del Friuli nell’ambito del Mittelfest. Dopo essere stata protagonista di una tragedia mitologica che tocca i vertici del parossismo, l’artista si immerge ora nella giocosa storia d’amore da Belle Époque dell’operetta più rappresentata e amata dal pubblico di tutto il mondo. 

 

 Esuberante, grintosa, passionale, l’attrice brianzola, nata sulle tavole del Piccolo di Milano di Giorgio Strehler che la diresse da esordiente nel goldoniano Il campiello, nel 1975, dimostra da sempre una dedizione assoluta al suo mestiere che sa affrontare, con la medesima efficacia, in tutte le declinazioni, compresa quella del teatro-canzone (la ricordiamo, quattro anni fa, in un personalissimo e ironico adattamento di E pensare che c’era il pensiero di Giorgio Gaber). «Ma stavolta per me si tratta di un vero salto mortale...», commenta l’attrice a proposito della fatica che l’attende oggi al festival friulano in questa prima assoluta (inizio ore 20.00) da café chantant dove sarà mattatrice unica sul palco, accompagnata da un esemble di quattro musicisti, a ricoprire le parti della vedova sensibile e malinconica, del conte Danilo scapolo impenitente e del narratore. Recita e canta in ruoli da soprano e tenore legando arie e duetti celebri come Tace il labbro ed E’ scabroso le donne studiar ai testi del libretto di Victor Léon e Leo Stein, rielaborati da lei stessa e dal regista Bruno Stori. «Mi hanno proposto questa riduzione dell’operetta – dice – che comporta un grande lavoro con la voce, in cui devo rispettare le tonalità originali seguendo regole quasi da opera lirica: è una sfida che non avrei mai accettato da sola e senza prima aver studiato canto e perfezionato le mie capacità vocali, cosa che faccio ormai da quindici anni. Credo di aver raggiunto la mia maturità anche come cantante». Ma alla fine come sarà la sua Allegra vedova? C’è da aspettarsi qualcosa di diverso dall’operetta che conosciamo? «Non ci saranno i virtuosismi, abbiamo tolto dall’operetta tutto il ciarpame sentimentale e retorico, da canzonetta, cercando di sfoltirla per proporre al pubblico il nocciolo della questione, il lato più umano e puro della meravigliosa storia d’amore tra i due protagonisti. Sarà uno spettacolo fresco, spumeggiante, e anche commovente, che scivolerà via lasciando però il senso più profondo della relazione tra un uomo e una donna, raccontato con intensità e leggerezza». Lei è reduce dal successo di Elettra per la regia di Gabriele Lavia, nella tradizionale rassegna promossa a Siracusa dall’Istituto nazionale del Dramma antico, nel quale è stata una splendida Clitennestra, figura aspra, rabbiosa, complessa. Un personaggio che sembra l’opposto della soave Hanna a cui darà voce stasera... «Ogni attore deve tirar fuori tutte le frecce che ha nella propria faretra... Ma a proposito di Siracusa, dove abbiamo avuto cinquemila spettatori a sera per più di un mese, devo dire grazie all’Inda perché continua a difendere la possibilità per migliaia di persone ogni giorno di ascoltare le parole dei Greci, qualcosa che non ha eguali al mondo e che contribuisce a tutelare il lavoro degli attori. Mi auguro che si continui a difendere questa manifestazione da qualunque invasione». Perché? Qual è il rischio? «Che la politica si impossessi anche dei luoghi del teatro. Ritengo che sia stato raggiunto un punto estremo di bassezza della cultura italiana con un fiorire di manager che guardano più al mercato che all’effettiva qualità delle produzioni. Con conseguenze spesso disastrose per gli artisti e per il pubblico, che rimane insoddisfatto». Ha avuto delle esperienze in questo senso? «Penso al teatro di Giovanni Testori. Un autore ritenuto difficile da comprendere per i contenuti spesso duri e la lingua usata nei testi, ma che comunica una forte spiritualità. Nel 2014 con mio fratello Giovanni presentai al festival Teatri del sacro di Lucca Passione, tratta dalla Passio laetitiae et felicitatis del grande drammaturgo lombardo: un tema “provocatorio” che sviluppa il rapporto tra corpo e parola. Un successo. Ma pochissime furono le piazze della successiva tournée. Ne rimasi delusa. Solo quattro le serate al Piccolo, per esempio... Ma a parte il teatro milanese, che rappresenta un’eccellenza a livello europeo (e che comunque in cartellone lo spettacolo testoriano lo accolse), in Italia mancano persone capaci di battersi per la qualità. Si sprecano risorse con proposte spesso imbarazzanti, nomi e titoli alla cui fama non corrisponde il valore». Che fare, dunque? «Insistere con la qualità. Io sto preparando con mio marito Peter Stein il Riccardo II di Shakespeare in cui reciterò la parte del re (il debutto, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, nel 2017). Poi parteciperò all’evento Lampedusa way, con un testo di dolorosa attualità scritto dalla poetessa siciliana Lina Prosa, in scena al Piccolo Teatro Studio Melato, nell’aprile prossimo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: