domenica 27 marzo 2016
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Avolte – sempre più di rado, purtroppo – i giornalisti danno una mano alla Storia. Accadde il 9 novembre 1989, quando in conferenza stampa fu rivolta a Günter Schabowski, ministro della Propaganda della Ddr, la famosa domanda su quando sarebbe entrata in vigore l’apertura dei posti di blocco che da quasi vent’anni dividevano in due la Germania. «Immediatamente, se le mie informazioni sono esatte», rispose lo sventurato. Il Muro di Berlino crollò in quel momento. Qualcosa di simile era avvenuto in Italia nel 1966, all’indomani del Concilio Vaticano II. Niente folle pronte ad accalcarsi a Porta Sant’Anna anziché alla Porta di Brandeburgo, ma si trattava comunque di una notizia clamorosa. Era contenuta in un’intervista nella quale, per combinazione, si parlava molto anche di comunismo o, per essere più precisi, della scomunica latae sententiae che da tempo colpiva gli iscritti al Pci. Non è esattamente così, spiegava il cardinale Alfredo Ottaviani, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a colloquio con il settimanale “Gente”: per incorrere nella scomunica occorre fare professione di marxismo in senso stretto, l’appartenenza o il voto a un partito non sono di per sé sufficienti. Non era l’unico colpo di scena nascosto nell’intervista che il cardinal Ottaviani aveva concesso al rotocalco fondato nel 1957 dal cattolicissimo Edilio Rusconi, maestro riconosciuto di una stampa popolare sì, ma sempre pronta a misurarsi con i temi cruciali dell’attualità. Nella sua conversazione con “Gente” il porporato aveva reso pubblica una decisione che, pur risalendo a qualche mese prima, non era ancora stata recepita in tutta la sua importanza. Nel motu proprio del 7 dicembre 1965, Integrae servandae, Paolo VI aveva infatti posto le basi per la riforma della Curia romana, intervenendo in maniera sostanziale sulle competenze del Sant’Uffizio. Il Papa, in particolare, non aveva più fatto cenno all’attività relativa alla vigilanza sui libri ritenuti pericolosi per la dottrina cattolica. In parole povere, dopo quattro secoli l’Index librorum prohibitorum perdeva la sua efficacia. Era proprio questo che il cardinale Ottaviani spiegava a “Gente”: il valore giuridico dell’Indice era ormai decaduto e l’elenco dei libri proibiti, non più aggiornato, era destinato ad assumere un mero valore documentario. Nessuno, insomma, avrebbe più rischiato la scomunica per aver letto le opere di Giordano Bruno o di un altro degli autori all’Indice. Formalmente ribadita dalla Congregazione in una nota diramata il 14 giugno dello stesso anno, l’affermazione del cardinal Ottaviani giungeva al termine di un dibattito che aveva sotterraneamente attraversato i lavori del Concilio. Dove si era fatto un continuo dibattere di riforma della Curia (non senza il contributo del giovane Joseph Ratzinger, andrà aggiunto), ma l’abolizione dell’Indice era stata invocata da uno solo dei Padri, monsignor Wilhelm Kempf, vescovo di Limburg, che non era riuscito a farla mettere in discussione. Ep- pure molti segnali lasciavano intendere che il sistema di controllo sulla produzione libraria, elaborato nel corso del XVI secolo in riposta all’aggressività della Riforma protestante, non corrispondeva più alle istanze culturali ed ecclesiali del XX secolo. Nel corso del quale, però, l’Indice aveva conosciuto una specie di seconda giovinezza, specie per quanto riguardava la condanna di Alfred Loisy, di Ernesto Buonaiuti e di tanti altri esponenti del modernismo. A fianco della tradizionale funzione in difesa della dottrina, nel Novecento l’Indice aveva assunto un altro ruolo, più connotato sul versante politico. L’intesa dei Patti Lateranensi, per esempio, non aveva impedito che nella lista dei prohibiti finisse l’intera produzione del filosofo Giovanni Gentile, ministro mussoliniano della Pubblica Istruzione e teorico della “mistica fascista”. D’altro canto, la mancata censura del Mein Kampf hitleriano era stata in parte bilanciata dal severo trattamento riservato ad Alfred Rosenberg e ad altri ideologi del nazionalsocialismo. Il manifesto-confessione del Führer, del resto, non è l’unica assenza eccellente nella magmatica elencazione allestita nel corso del tempo dal Sant’Uffizio. Per quanto non se ne venisse incoraggiata la lettura, l’opera di Karl Marx non fu mai mai messa all’Indice, nel quale figurava invece l’intera produzione di scrittori come Alberto Moravia o il Nobel Jean-Paul Sartre. La soppressione dell’Indice segna la fine di un’epoca, ma non per questo la Congregazione per la Dottrina della fede smette di intervenire in materia di libri e letture. Nel 1973, pochi anni dopo l’intervista del cardinal Ottaviani a “Gente”, si registra il primo pronunciamento contro le tesi sostenute da Hans Küng in Infallibile? , più tardi verranno le controversie relative agli scritti di Leonardo Boff, Eugen Drewermann, Anthony de Mello. Per il seguito, forse, bisogna aspettare la domanda di un altro giornalista. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il caso Dopo quattro secoli di “libri proibiti”, nel 1966 un’intervista al cardinale Ottaviani su “Gente” segnò una svolta da parte della Chiesa DA EMENDARE. Serpenti in fuga dai libri messi all’Indice nell’affresco della Biblioteca di Eger, in Ungheria
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