venerdì 7 ottobre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Da un garage di Los Altos, in California, nel 1976, all’attuale multinazionale, Apple è passata da un capitale di 1.300 dollari a una liquidità di circa 80 miliardi di dollari. Più di quanto il Tesoro americano avesse a disposizione a fine luglio durante il dibattito per aumentare il tetto del debito Usa. Ora, all’indomani della morte di Steve Jobs, la questione principale è il futuro di Apple: è unanime il giudizio che una tale ascesa non sarebbe stata possibile senza il suo fondatore (e non solo perché il finanziamento iniziale fu raccolto con la vendita del suo pulmino Volswagen). A portare la società ad essere la maggiore nel settore tecnologico e una delle prime al mondo per capitalizzazione è stata soprattutto la visione del 56enne californiano, che sin dagli esordi era determinato a trasformare lo stile di vita degli americani attraverso l’uso di computer e la sua tenacia. Quando, insieme con l’amico – e co-fondatore – Stephen Wozniak, disegnarono il primo “Apple I” per dimostrare le loro abilità al club di hobbisti dell’Homebrew Computer, fu Jobs a intuire le sue possibilità commerciali e ad occuparsi delle attività operative della società, dai contatti con i fornitori a quelli con potenziali acquirenti. Anche quando riuscirono ad ottenere un finanziamento di un quarto di milione di dollari dall’ex funzionario Intel, A.C. Markkula, Wozniak continuò a rappresentare la parte tecnologica di Apple, mentre Jobs si addossò le funzioni di marketing, rimanendo fedele all’anticonformismo che l’aveva portato a “battezzare” il suo primo computer con il nome del frutto preferito invece che con il numero di serie all’epoca in voga nel settore. Jobs continuò a rimanere il “volto” di Apple – e a introdurre sui mercati mondiali i nuovi prodotti – anche quando la sua figura, nei tradizionali jeans e maglioncino nero, colpita dal cancro, divenne l’ombra di sé stessa. Il carisma – insieme alla sua corretta intuizione che i computer sarebbero diventati sempre più “personal”, uscendo dai laboratori di ricerca in cui erano relegati negli anni Settanta – portò il fatturato di Apple dai 2 milioni di dollari del 1977 ai 600 milioni di dollari del 1981. Fu l’anno in cui la società venne quotata in borsa. Lo stesso in cui Jobs iniziò a lavorare con un gruppo di ingegneri sul sistema Macintosh che, però, aveva un costo troppo alto. La conseguente lotta di potere tra l’amministratore delegato, John Sculley – che voleva limitare il lancio di prodotti poco testati – e Jobs, forzò l’uscita del fondatore dalla società, dimostrando però, che Apple necessitava della sua visione per poter crescere. Nonostante i primi successi nel periodo “post-Jobs” – definito «la prima età d’oro» del Macintosh –, le successive linee di prodotti non vennero accolte con favore dal pubblico. Tanto che nel 1996 il nuovo Ceo, Gilbert Amelio, ricorse al fondatore, assumendolo quale consulente. Solo l’anno seguente, Apple chiese a Jobs di tornare a guidare la società, aprendo la via a una crescita senza precedenti. Non solo venne introdotto l’iMac – che inaugurò i computer “di design” – ma Apple si indirizzò anche verso altri prodotti, dall’iPod nel 2001 all’iPhone nel 2007: E la società perse la specifica «di computer» dal nome, per segnalare le nuove prospettive per il futuro.La rivoluzione del mercato con l’uscita l’anno scorso dell’iPad – e la vendita di 14 milioni di “tablet”– sono una testimonianza della visione di Jobs che dovrebbe tenere alti i profitti dell’azienda per almeno altri due anni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: