giovedì 4 luglio 2013
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Yves Coppens è uno dei grandi esponenti della paleoantropologia, la scienza che studia l’origine dell’uomo unendo la ricerca strettamente scientifica all’interpretazione antropologica. Dal 1983 è titolare della cattedra di Paleoantropologia e Preistoria al Collège de France. Una scienza francese, la sua, se la sua cattedra segue quella di Breuil, Leroi-Gourhan, i fondatori aventi alle spalle l’ombra di Teilhard de Chardin. Una disciplina che irradiando dal suo centro parigino vanta importanti studiosi in altri Paesi, come l’italiano Fiorenzo Facchini. Una scienza che indaga nel passato, muovendosi in dimensioni temporali quasi insostenibili al pensiero, e che quindi non solo richiede ma esige, secondo Coppens, intuizione e immaginazione, le due doti principali degli artisti. E, in questa ricerca, prosegue lo studioso, contano anche il caso e a volte un po’ di follia. Non si tratta solo di datare dei fossili umani o preumani, ma di stabilire le condizioni culturali, ambientali dei nostri antenati: disegnare la vita di età lontane e favolose, che sopravvivono a lacerti nell’inconscio collettivo. Ma che Coppens e i suoi colleghi tentano con successo di portare alla luce del presente. Nel suo caso, poi, particolarmente, con una non comune capacità narrativa.Chi è l’uomo quando appare sulla scena del mondo?«Il primo umano, intende. Il primo uomo appare circa 3 milioni di anni fa, diciamo due milioni e ottocentomila anni. È bipede, si regge sugli arti posteriori, è piccolo, non più alto di un metro e quaranta, uno e cinquanta e presenta un cervello più sviluppato rispetto ai preumani. Per sopravvivere doveva consumare, oltre ai vegetali, della carne, diventa onnivoro, nasce una nutrizione nuova diversa da quella dei suoi predecessori. Una diversa dentizione, dei denti differenti».E i suoi antenati? Quale è la differenza tra umani e preumani?«È molto semplice, direi: i preumani precedono gli umani. Io penso che questa parte della storia dell’umanità sia apparsa in Africa e solo in Africa. Nell’Africa tropicale, equatoriale e questa parte dell’umanità è apparsa dieci milioni di anni fa, approssimativamente, certo non può essere la data precisa, ma dieci milioni di anni può essere la data verosimile, arrotondando. A partire da dieci milioni di anni fa, per ragioni sia climatiche sia di adattamento del nostro antenato: cambiava il tipo di foresta, da quella fitta e coperta a quella alternata a radure, savane, e per adattarsi alle nuove condizioni ambientali in questi primati si verificò un cambiamento morfologico, prima di tutto il raddrizzamento del corpo, che comportava un nuovo equilibrio del bacino che doveva sostenere il tronco. Insomma una costruzione nuova per il corpo, e un mutamento essenziale: il cambiamento dello sguardo. I quadrupedi guardavano necessariamente in basso, verso terra, i bipedi, elevati, guardavano l’orizzonte, e vedendo l’orizzonte lo sguardo saliva naturalmente al cielo. Nacque, col bipedismo, una nuova, straordinaria prospettiva: per la prima volta noi guardavamo l’orizzonte e il cielo».La sua prima considerazione può essere più immediata da comprendere, più semplice, ma la seconda è estremamente ardua, importante, dal punto di vista poetico, che è un punto di vista simbolico e religioso: la relazione tra lo sguardo in fuori e quello dentro. Nel momento in cui guardo l’orizzonte e il cielo, scruto dentro me stesso. Mi conosco attraverso l’infinito che sto scoprendo. Questo è un notevole salto concettuale, professor Coppens. Quindi lei pensa, come il grande storico delle religioni, Julien Ries, che Homo Religiosus sia presente sulla scena del mondo prima di homo sapiens?«Sì, certo! La dimensione spirituale è talmente importante che se non esistesse come paleontologo non comprenderei l’uomo stesso. Penso che quando appare l’umano è uomo nella sua totalità, con la dimensione spirituale, la coscienza, il senso estetico morale, tutto nello stesso tempo: da tre milioni di anni non c’è più discontinuità. L’aspetto etico si evolve, si raffina, ma esiste già subito dalla comparsa dell’uomo».Recentemente, parlando dell’uomo in relazione alla poesia, ho forzato la posizione sua e di Julien Ries, affermando, diciamo trascinato da un empito, che Homo Religiosus esiste già non solo nell’Homo Sapiens ma nell’Homo Habilis. Una esagerazione, in buona fede…«E chi può dirlo? Qualcuno si è posto esattamente la questione: i resti non possono testimoniare in una direzione o in un’altra. Non c’è certezza in merito. Quando si parla di australopitechi si affrontano individui che non sono ancora umani ma non più semplicemente animali, un mondo veramente misterioso».Sono stato così emozionato dalla conoscenza di Lucy, che ho scritto per lei una poesia…«Avevo già lavorato nel sud dell’Etiopia e mi trovavo nella parte orientale del paese. Venne a trovarmi un geologo, iniziammo una ricerca insieme, se ne unirono altri. Era il 1969, per alcuni anni lavorammo in quel territorio. Nel 1970 vi fu un congresso panafricano di preistoria a Addis Abeba, insomma in quegli anni facemmo un lavoro molto intenso. Io e tre colleghi americani e inglesi partecipammo nel 1972 a una spedizione. Ricordo il caldo tremendo che aumentava la fatica. Nel 1974, dopo avere rinvenuto molti fossili, ne trovammo due di ominide, un osso temporale, un ginocchio, e a poco a poco gli altri reperti. La posizione del femore sinistro, il tipo di fossilizzazione e altri elementi mi convinsero che si trattava dei reperti di un unico individuo. Abbiamo potuto ricostruire gran parte  dello scheletro, e questo ci permetteva di capire molte cose e di disegnare la silhouette dell’individuo, ipotizzzarne la taglia, l’altezza, i capelli, i contorni, quindi il viso, il comportamento… da tutto questo fummo certi che si trattasse di un soggetto femminile. Avevo un mangianastri, come usava allora. Varie cassette, Mozart, Bach, ma anche i Beatles, che ascoltavo continuamente. In particolare in quei giorni canticchiavo sempre una canzone che mi piaceva e mi piace molto, Lucy in the sky with diamonds, una delle mie preferite dei Beatles. Quando la piccola antenata prese forma, la battezzai Lucy. Lucy, uscita dal buio della terra e dei millenni viene alla luce, come nella canzone, nel luminoso cielo africano. E ora, in una teca, è visitata dai suoi discendenti, al Musée de l’Homme di Parigi».​​​​
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