venerdì 25 settembre 2015
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Perché la filosofia moderna ha trascurato, anzi rimosso, il tema affascinante e ricco di implicazioni della conversione? Forse perché convertirsi è un atto di trascendenza, e come tale estraneo all’orizzonte delle certezze scientifiche? O perché tocca, nell’uomo, le corde spirituali più profonde che i filosofi da tempo hanno rinunciato a esplorare? Inizia con queste domande fondamentali il saggio, appena tradotto in italiano, della filosofa francese Catherine Chalier, allieva di Emmanuel Lévinas, del quale ha sviluppato nel corso degli anni molte intuizioni etiche e religiose maturando una proposta filosofico-religiosa tra le più originali del panorama contemporaneo. Di Lévinas, in questo volume, Chalier riprende il tema complesso del desiderio, matrice di ogni trascendenza e riflesso, per così dire, dell’idea biblica che ogni uomo e ogni donna sono immagine di Dio. In questo contesto, a tema, è il desiderio di autenticare la propria esistenza esercitando la libertà di «andare verso se stessi», di seguire la propria chiamata, di non (d)eludere le aspettative della propria coscienza nel momento in cui ha compreso, per dar senso alla propria vita, cosa deve fare. Anche a costo di rompere con il proprio ambiente familiare o con la propria comunità di origine. Questo processo, di incontro e di ascolto dell’Altro (e degli altri), è ciò che sta alla base della conversione, che sia dall’agnosticismo a una religione rivelata, oppure – a volte – da un’appartenenza religiosa stanca e demotivata a un ateismo pieno di domande e di tensione etica. weil.jpgSimone Weil. La fenomenologia delle conversioni individuali è vasta e profonda come le coscienze che vorrebbe indagare, impossibile darne conto se non attraverso i racconti che i convertiti fanno per testimoniare il loro percorso, spesso la loro sofferenza, quasi sempre l’intima gioia di aver risposto alla chiamata personale che hanno sentito. È una chiamata che la tradizione filosofica definisce «ricerca della verità», non riuscendo sempre, però, a evitare gli estremi del dogmatismo (la verità è una e unica per tutti) e dello scetticismo o del relativismo (non v’è affatto verità, se non quel che ciascuno percepisce come tale). Il percorso di Chalier, invece, resta una filosofia attenta all’individuo e al particolare senza tuttavia negare il valore pubblico, politico delle scelte religiose anche le più intime. Dopo aver recuperato il valore della conversione filosofica e/o religiosa nel mondo antico (da Platone ad Agostino, a Plotino), la studiosa francese analizza cinque vicende storiche di «desiderio di conversione», che hanno segnato il travagliato XX secolo, dalla vigilia della prima guerra mondiale agli anni bui della Shoah: Franz Rosenzweig e Henri Bergson, Simone Weil e Etty Hillesum, in bilico tra ebraismo e cristianesimo, trattenuti ora da una chiamata a «restare» ora da circostanze tragiche che hanno impedito di «varcare formalmente la soglia». V’è poi il caso di Thomas Merton, che nel 1939 si convertì al cattolicesimo, scoprendo progressivamente la propria naturale inclinazione al dialogo con le altre fedi e tradizioni. Cinque percorsi che non pretendono di spiegare cosa sia quel segreto che muove a convertirsi ma che illuminano la fragilità dei confini e delle appartenenze quando le si legga in prospettiva dell’autenticità esistenziale e, per chi abbraccia la prospettiva biblica, della grandezza di Colui che chiama. L’irreprimibile desiderio verso il bene e verso il vero non conosce neppure i limiti fissati dalla storia delle religioni e, dice Chalier, spinge a «vivere la finitezza con l’esigenza del più alto, il che vuol dire anche del più profondo». 

Henri Bergson.
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