giovedì 14 maggio 2015
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È un duello all’ultimo spettatore (ma anche all’ultimo libro venduto, all’ultimo gadget, all’ultimo “Mi piace” su Facebook) quello che si combatte fra Peppa Pig e Masha e Orso, i due cartoni animati dei record. La maialina inglese che va all’asilo, al parco o in piscina con la sua famiglia è lo specchio del quotidiano che vive un bambino di due o tre anni. E conquista le platee televisive di decine di Paesi e, con volumi, giocattoli o zaini scolastici, fa muovere decine di milioni di euro. Dall’altra parte della barricata, c’è la piccola pestifera russa col suo foulard fucsia che ne combina di tutti i colori e ha in Orso (proprio con la maiuscola perché così si chiama l’animale co-protagonista della serie realizzata nell’ex Urss) una sorta di genitore putativo che prova a tenerla a bada. Il cartoon spopola in tv ed è diventato un cult sui social network. 

 Peppa e Masha, ovvero due miniere d’oro (per produttori, emittenti e merchandising). Ma non è tutto oro quello che luccica. «Peppa è un’edonista volubile, egocentrica, saputella. E i suoi genitori sembrano insensibili alle necessità dell’infanzia. In pratica, è una saga che non aiuta i bambini a emanciparsi», sostiene Anna Antoniazzi, ricercatrice in letteratura per l’infanzia all’Università di Genova e autrice del libro Dai Puffi a Peppa Pig: media e modelli educativi (Carocci; pag. 112; euro 12). «E che cosa dire di Masha? – ribatte la psicologa e psicoterapeuta, Claudia Soatto, presidente dell’associazione “Psicom-Psicologia per la comunità” di Padova –. Quando mia figlia vede il cartone, diventa insistente come Masha. E parla con la stessa intonazione». Le due esperte la pensano all’opposto: la studiosa ligure boccia la maialina anglosassone e promuove la birichina russa; la psicologa veneta ha una visione che è quasi l’esatto contrario. «Peppa Pig  manca di poetica – spiega Antoniazzi –. Non propone alcunché di nuovo rispetto a quanto i bambini conoscono già. Poi la maialina è una piccola viziata che ha tutti i crismi dei figli unici degli anni ’90, anche se figlia unica non è. Perciò la considero già “vecchia”». Replica Soatto: «Peppa è simpatica e vuole dire l’ultima parola. Non è prepotente. Il messaggio positivo che trasmette è che si può essere protagonisti insieme agli altri: ognuno possiede qualcosa di speciale e ha talenti da condividere. Inoltre sperimenta le sue fragilità, magari arrivando ultima a una gara, ma non ne fa una tragedia». La ricercatrice demolisce l’intera famiglia Pig. «I genitori sono presenti ma, quando si tratta di educare i figli, risultano perennemente assenti. Guardano alle loro faccende e dicono sempre “sì” pur di non incrinare il loro quieto vivere. Poi non hanno il senso della misura, come accade a molti genitori di oggi che hanno troppa ansia di partecipare anche a quei momenti che dovrebbero essere riservati ai figli. È il caso della casa sull’albero: rappresenta il mondo “altro” del bambino, ma i genitori di Peppa ci entrano e impongono le stesse regole della loro abitazione». Non va meglio con George, il fratellino minore che sa dire soltanto “dinosauro”. «È l’emblema dei pregiudizi sull’infanzia – sottolinea Antoniazzi –. Siccome non riesce a parlare bene, appare sciocco e senza pensiero. In realtà anche i bambini in tenera età hanno capacità espressive straordinarie che dal cartoon non emergono». La psicologa di Padova non ci sta. «Peppa Pig è una serie che dà  rilevanza alla famiglia tradizionale, con genitori uniti che si vogliono bene, e ai profondi legami fra le generazioni, come quelli con i nonni. In  una società dove i bimbi scontano i disagi delle separazioni fra i genitori o la lontananza dei parenti, il cartone propone un contesto familiare segnato dalla stabilità che risponde al bisogno di appartenenza proprio dei piccoli».  Controversa è anche la figura di Papà Pig. «È goffo, pigro, pantofolaio.  Viene apostrofato come “schiocchino papà” e ciò intacca quel rispetto reciproco che è essenziale in ogni rapporto affettivo», afferma la studiosa genovese. «Macché – risponde la psicologa –. È un padre che si dedica ai bambini e non si fa problemi a commettere qualche gaffe. Tuttavia la sua autorevolezza non ne risente. È interessante che i figli abbiano genitori in grado di sbagliare e capiscano che si può rimediare agli errori».Il tema torna anche in Masha e Orso. «L’animale ispira tenerezza – sostiene Soatto –. Ma fa fatica a frenare Masha e a darle alcune regole. Lui, sì, che manca di autorevolezza». Ad Antoniazzi, invece, piace Orso. «Comunica l’idea di avere accanto un adulto di riferimento. La Pimpa, che è un cagnolino, aveva vicino un adulto umano,   Armando. Masha, che è una cucciola d’uomo, può contare su un orso. L’animale è come un genitore, ma non è invasivo come quelli di Peppa. Si fa da parte nelle occasioni opportune; però sa proteggere la piccola e persino salvarla». Già, Masha: è lei la vera star del cartone. «Un vulcano – chiarisce la psicologa –. Il suo personaggio racconta alcuni tratti dell’infanzia come l’iper attivismo o la difficoltà di concentrazione. Certo, non è rispettosa dei bisogni di Orso che talvolta è sopraffatto dalla sua irruenza». La ricercatrice paragona Masha a Pippi Calzelunghe o alla Alice nata dalla penna di Lewis Carroll. «La piccola russa è un’orfana, ma vive questa condizione con uno sguardo positivo. In lei l’infanzia si manifesta nella sua piena potenzialità. E con il suo carattere dirompente ha tutte le carte in regola per diventare parte dell’immaginario collettivo mondiale. Invece Peppa è ancorata a una società di inizio XXI secolo».  Resta il successo di due cartoni così diversi. «Perché rispondono alle istanze dei baby spettatori – afferma Soatto –. In Peppa Pig è possibile trovare una rete di legami forti e positivi; in Masha e Orso  un’accentuata soggettività tipica dei bambini fino a sei anni». Comunque vanno tenuti presenti i palinsesti televisivi – conclude Antoniazzi –. Prevedere 15 puntate consecutive di Peppa o Masha significa ingabbiare la programmazione che di fatto offre quello e soltanto quello. Allora gli ascolti sono assicurati».
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