giovedì 1 settembre 2011
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Le seduzioni e i compromessi del­la politica tra lealtà e vendette, ambizione e tradimenti, verità e menzogne. George Clooney inaugu­ra ufficialmente la 68esima Mostra di Venezia con Le idi di marzo, un film 'morale' tratto dall’opera teatrale Farragut North che denuncia non i grandi scandali destinati a occupare le pagine dei giornali, ma le piccole porcherie quotidiane di chi inevita­bilmente rinuncia al proprio ideali­smo per abbracciare il cinismo ne­cessario a sopravvi­vere ai giochi di po­tere dietro le quinte. Niente di nuovo, in­tendiamoci, ma l’a­marezza del film sta proprio in questo e Clooney che si con­ferma un regista con idee e talento, onestà e rigore, costruisce un film classico, soli­do e appassionate anche grazie a u­no straordinario cast che vede tra i protagonisti lo stesso George (in un ruolo più contenuto), l’astro nascen­te Ryan Goslin, due mostri sacri del calibro di Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei. Il film segue l’ascesa, la caduta e la ri­salita del giovane e brillante portavo­ce stampa del governatore Morris, im­pegnato nelle primarie del partito de­mocratico per la candidatura alla pre­sidenza. Una leggerezza gli costerà il licenziamento, ma la scoperta di un segreto che rischierebbe di compro­mettere l’elezione di Morris salverà la sua carriera, trasformandolo però in una persona diversa. E quello sguar­do in macchina alla fine, dritto negli occhi dello spettatore sembra sugge­rire, come faceva Hitchcock nella ce­lebre inquadratura di Giovane e in­nocente, che siamo tutti un po’ col­pevoli, anche noi che ce ne stiamo se­renamente seduti in poltrona. «I democratici preferiranno l’inizio del film, mentre i repubblicani ame­ranno la fine» scherza Clooney, atti­vista liberal tra i più convinti sosteni­tori di Obama. Eppure nel film, co­stato solo 12 milioni di dollari (in Ita­lia arriverà a gennaio distribuito da 01) è evidente la disillusione, forse per una svolta mancata. «Stavamo lavo­rando alla sceneggiatura già nel 2007, ma poi Obama è stato eletto Presi­dente, eravamo tutti felici e pieni di speranza e un film così cinico sulla politica sembrava fuori luogo. Ma poi ci siamo accorti che era di nuovo tem­po di rimettere mano a questa storia». Poi Clooney spiega: «Più che un film politico è una storia sulle scelte mo­rali che potrebbe svolgersi anche a Wall Street. La vera questione è: sei di­sposto a venderti l’anima per rag­giungere un obiettivo? Una domanda universale che rimanda a temi shake­speariani, perché le cose sono sempre andate nello stesso modo da sempre: allo spettatore lascio il compito di sta­bilire chi sia Cassio, Bruto o Giulio Ce­sare. Io ho sentitolo solo il dovere di porre delle domande più che dare ri­sposte. Il mio intento è davvero quel­lo di aprire un dibattito soprattutto nel mio paese che vive un grande mo­mento di difficoltà». Tra i grandi temi del film c’è quello della seduzione: tut­ti i personaggi la usa­no come arma per ottenere ciò che vo­gliono, recitando un copione preciso. Ine­vitabile dunque una riflessione sull’ana­logia tra attori e poli­tici. «Tra Washington e Hollywood esiste u­na differenza sostan­ziale e riguarda il senso di responsa­bilità. Il cinema non influisce sulla vi­ta delle persone come fa la politica. È per questo che la politica non mi in­teressa » conclude Clooney. «Guardo Obama soffrire e mi convinco sem­pre di più di quanto piacevole sia il mio lavoro».
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