domenica 31 luglio 2016
Claverie e Mohamed meticci nella santità
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Era un giovedì di vent’anni fa – il 1° agosto del 1996 – quando il vescovo di Orano il domenicano Pierre Lucien Claverie, figlio dell’Algeria coloniale, un cosiddetto pied noir  (perché francese ma trapiantato nel paese africano da parecchie generazioni) ma anche l’uomo capace di costruire ponti di dialogo tra islam e cristianesimo e definito anche per questo suo stile di amicizia il «martire della leggerezza» – rientrando nella sede della sua abitazione alle 22.48 di quella sera si trovò assieme al suo autista Mohamed Bouchiki vittima di un attentato perpetrato da frange integraliste: entrambi furono colpiti da una violenta esplosione, prodotta da un ordigno comandato a distanza. A colpire fu la scena successiva che si presentò sul pianerottolo del vescovado, come ha ben descritto il più autorevole biografo di Claverie il domenicano Jean-Jacques Pérennès: «Pierre e Mohamed giacciono al suolo in un atrio devastato e il loro sangue si mescola». Parole che sembrano rievocare quelle pronunciate dallo stesso Claverie, pochi mesi prima, quasi premonitrici del suo amaro destino: «Anche se volessimo partire, non potremmo più farlo. Il nostro sangue si è mescolato».  Sono alcune delle istantanee che rimangono impresse, – a vent’anni di distanza, – nella memoria collettiva della Chiesa cattolica d’Algeria e che rievocano ancora oggi la fitta trama e la storia di Claverie un religioso domenicano dai tratti eccezionali – figlio del Mediterraneo crocevia di popoli e religioni tanto ben descritto dallo storico francese Fernand Braudel – e raffinato intellettuale, profondo conoscitore della cultura araba e dell’islam più autentico nel solco di Charles de Foucauld. Una fine violenta e drammatica la sua che avvenne solo nove settimane dopo la strage dei sette trappisti del monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine. «La sua morte è tragica. Essa va ad aggiungersi a quella dei diciotto religiosi – furono le parole pronunciate nel giorno dei suoi funerali, il 5 agosto del 1996 nella Cattedrale di Sant’Eugenio ad Orano, dall’allora cardinale prefetto della Congregazione dei vescovi Bernardin Gantin – che figurano sulle pagine di questo martirologio moderno». Come senza tentennamenti furono le parole espresse da Giovanni Paolo II nei giorni successivi alla drammatica uccisione di Claverie: «La sua morte non può rimanere motivo di solo dolore, anche se grande. Il suo martirio deve diventare seme di speranza». Pierre Claverie nasce ad Algeri nel quartiere popolare di Bab el Oued l’8 maggio 1938. Fondamentale nella sua crescita spirituale saranno gli anni trascorsi nella sua spensierata giovinezza presso il gruppo scout la “Saint-Do” dove per la sua vivacità intellettuale viene soprannominato lo «scoiattolo attento». A giocare un ascendente non marginale sulla futura vocazione religiosa è l’incontro proprio, in quell’ambiente aggregativo, con il carismatico domenicano Louis Lefèvre. Ma prima di arrivare al passo della vocazione Pierre decide, dopo gli studi liceali, di frequentare scienze matematiche a Grenoble. Nel 1958 matura la sua decisione, entra ventenne nel noviziato dei domenicani di Lille: «Se ho scelto il sacerdozio – scrive in una lettera ai genitori – è per darmi fin in fondo a qualcosa». Ed è nell’arco della sua formazione teologico-filosofica all’interno della prestigiosa scuola di Le Saulchoir (1959-1967) in Belgio che il giovane fra Pierre incontra e si confronta con le grandi figure intellettuali del suo Ordine: da Marie Dominique Chenu a Yves Marie Congar, da Claude Geffré, Jean Pierre Jossua al suo maestro di tesi Bernard Dupuy. È proprio tra quelle austere mura di studio che respira la ventata primaverile del Concilio Vaticano II.Il 4 luglio 1965 viene ordinato sacerdote, facendo poi ritorno nel 1967 in Algeria, che nel frattempo aveva conquistato  l’indipendenza dalla Francia. Sono questi gli anni decisivi della svolta nella vita del domenicano: comprende dal di dentro – lui che è un pied noir – le ragioni di un «Algeria degli algerini » e non più avamposto coloniale di Parigi. Intraprende così «una specie di viaggio – come ben scrive il suo biografo Pérennès – fra quegli “altri” che abitavano la sua stessa casa!» . Si getta subito nello studio della lingua araba: si iscrive ad un centro linguistico diretto da religiose libanesi della Congregazione dei Sacri Cuori, divenendone uno dei migliori allievi. Non impara solo la lingua ma anche l’islamologia e la cultura araba. Ben presto gli giungono le responsabilità fra Claverie è nominato nel 1972 direttore ad Algeri del centro diocesano “Glycines”: si tratta di una realtà sorta dopo l’indipendenza e mira ad aiutare la Chiesa a compiere la sua missione nella nuova Algeria. Il 12 maggio 1981 arriva l’inaspettata nomina alla guida della diocesi di Orano un vero “piccolo gregge” (5 milioni di abitanti, 1.500 cattolici, 10 parrocchie, 9 sacerdoti diocesani, 13 presbiteri religiosi e 45 suore). Interrogato su che cosa l’avesse determinato ad accettare una nomina non certo cercata, Claverie risponde in modo assai sorprendente: «L’attentato contro Giovanni Paolo II; una Chiesa il cui capo può essere ucciso come qualsiasi altro uomo, mi interessa».A consacrarlo vescovo è la figura chiave e più carismatica della Chiesa d’Algeria l’arcivescovo di Algeri il cardinale Léon Etienne Duval. Definitivamente legato alla sua terra, con l’elezione a pastore, ne chiederà subito la cittadinanza, che tuttavia mai gli verrà concessa. In quindici anni di episcopato (1981-1996) Claverie diventa il pastore di tutti: si adopera per una «riconciliazione della memoria» nel suo Paese, rivelandosi soprattutto un «algerino con gli algerini». Segni di questo suo stile di dialogo con tutti e di lotta agli estremismi arriva – sotto anche il favorevole patrocinio del cardinale Jean Marie Lustiger – con l’invito rivolto a Claverie dallo sceicco Abbas, il 15 giugno del 1988, una “prima assoluta” per un vescovo cattolico a tenere una conferenza nella moschea di Parigi. Sarà un successo. Come certamente coraggiosa ma coerente con il suo stile di “vescovo scomodo” sarà la sua critica all’accordo fra il Fronte di salvezza islamico e i principali partiti di opposizione algerina raggiunto a Roma nel gennaio del 1995, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio.  Oggi Pierre Claverie è sepolto e riposa nella Cattedrale di Orano, rivestito del camice, della croce pettorale e di quella stola che egli amava, su cui era stato ricamato in arabo questa semplice frase: Allah mahabba (Dio è amore). La sua tomba è abbellita con fiori freschi che mani amiche spesso anonime depongono ogni giorno e la sua memoria rimane viva nei cuori di tutti coloro, cristiani o musulmani, che hanno avuto il privilegio di incontrare questo autentico profeta del dialogo – o come amava definirsi – un vero «artigiano della pace».
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