giovedì 26 febbraio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Nel 2007, su una rivista scientifica descrivemmo la storia di un calciatore italiano malato di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) o Morbo di Gehrig. Ricordo la delicatezza di quella relazione umana e quel desiderio profondo di capire quali fossero le possibili ragioni dell’origine della malattia in quella persona... Da come conosco la ricerca scientifica intuisco che se riuscissimo a comprendere perché calciatori - che rappresentano circa l’1% di tutti i malati di Sla (in Italia sono 5-6mila) - si ammalano con questa elevata frequenza, probabilmente potremmo capire perché si ammala il restante 99% delle persone affette da Sla che non hanno mai giocato a calcio in maniera professionale…». È l’auspicio del dottor Nicola Vanacore, neuroepidemiologo del Centro Nazionale di Epidemiologia e Sorveglianza della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, autore di uno dei due studi epidemiologici su “Calcio e Sla” commissionati dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello e “capitano” di una squadra di giovani ricercatori encomiabili, impegnati nella dura sfida quotidiana contro quello che Avvenire, in tempi non sospetti, ha definito il “Morbo del pallone”.Eppure dottor Vanacore dopo la morte di Stefano Borgonovo (giugno 2013) sembra sceso il silenzio sul tema...«Anche a me pare che l’intera questione sia stata rapidamente rimossa dalla memoria collettiva, mentre invece la rilevanza del fenomeno osservato e le sue peculiarità cliniche (casi sporadici, prevalentemente giovanili e della forma più severa) dovrebbero rappresentare una sfida per cercare di comprendere cosa sia accaduto e stia ancora accadendo».La Federcalcio con la sua indagine, molto veloce e discutibile, ha escluso ogni tipo di relazione tra la Sla e il mondo del pallone. Il dato epidemiologico però ci dice qualcosa di diverso...«Bisogna fare molta attenzione a seguire la tendenza dell’eccessiva semplificazione con le quali si associano la Sla e il calcio. Il dato epidemiologico, pubblicato ormai dieci anni fa, documenta un grande eccesso di Sla tra i calciatori professionisti italiani e questo non è mai stato confutato».Forse varrebbe la pena ricordarli certi dati...«Nel nostro studio basato su 24mila giocatori di Serie A, B e C in attività tra il 1960 al 1996, sono emersi 8 decessi per Sla con un aumento del rischio di 12 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Il giudice Guariniello poi ci fornì un dato ancora più allarmante: 16 calciatori morti di Sla tra il 1996 e il 2004. Quindi si sale a 24 decessi».Poi sono morti di Sla Lauro Minghelli, Adriano Lombardi, Stefano Borgonovo, Moreno Solfrini, Franco Tafuni e Sergio Isabella, quindi si arriva a 30 decessi che, sommati ai casi di calciatori malati, indicano un rischio della popolazione calcistica 24 volte superiore a quella generale. Un “fenomeno” che nel basket, invece, presenta un solo caso accertato, così come nel rugby... «Il rischio di Sla della popolazione calcistica potrebbe anche essere maggiore rispetto a quello stimato negli studi. La realtà è sommersa e solo la buona ricerca riesce a trovare quell’equilibrio tra la riservatezza della privacy e l’emersione del fenomeno. Comunque, quando partirono nel 2002-2003 gli studi sui calciatori nessuno aveva formulato a priori l’ipotesi di osservare un eccesso di Sla. Gli studi su ciclisti e giocatori di basket riguardano un campione di circa 1.700 atleti. Non ho notizia di studi su giocatori di rugby, mentre ne esiste uno americano sui giocatori di football che documenta un rischio di Sla di sole 2 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Ma i casi vanno sempre accertati nella loro correttezza diagnostica».In quale direzione si sta muovendo la ricerca scientifica per rintracciare la possibile relazione tra il Morbo di Gehrig e il calcio?«Nonostante la rilevanza del fenomeno, non si fa tanta ricerca come si dovrebbe. È comunque migliorata negli ultimi anni la qualità con la quale si conducono gli studi. Un argomento nuovo che si sta valutando è relativo ad una certa conformazioni fisica a svolgere con successo attività sportiva che porterebbe con sé anche un rischio di Sla. Possiamo definirla una “fragilità nell’essere speciale”. Si stanno anche valutando con maggiore attenzione l’eccesso di uso di farmaci e di prodotti naturali o integratori alimentari. La ricerca, poi, sui fattori genetici ha avuto un grande incremento, sia per l’identificazione di geni causali della malattia sia di quelli predisponenti. Tutto ciò però ancora non ci consente di mettere tutte le tessere al loro giusto posto nel mosaico della relazione Sla e calcio o Sla e sport in generale».Pesticidi, diserbanti, contaminazione delle acque con cui vengono irrigati i campi di gioco, questi i possibili fattori “ambientali”. O c’è dell’altro?«Le ipotesi possono essere anche più numerose se con il termine “ambientale” si intendono anche gli stili di vita e le caratteristiche proprie dell’attività fisica (traumi, intensa attività per esempio). Ma dalle ipotesi bisogna poi passare ai disegni e agli studi per poter valutare queste ipotesi. E qui siamo pressoché fermi. Il numero di studi scientifici pubblicati su questo tema dal 2003 è irrisorio».Grazie all’inchiesta di Guariniello però il nostro è l’unico Paese al mondo che ha tentato di far luce sulla misteriosa casistica di calciatori ammalati o morti di Sla...«Le due perizie, la nostra e quella altrettanto valida del professor Chiò, sono state pubblicate su riviste scientifiche internazionali e hanno ancora un valore enorme. Penso, però, che in un Paese civile la magistratura debba procedere al meglio nel suo lavoro e lo stesso vale anche per la comunità scientifica. In altre parole auspico che vi siano i presupposti culturali per poter analizzare le cause di questo fenomeno in stretta collaborazione tra gli atleti, le federazioni, i medici sportivi e i ricercatori clinici e di base».Cosa intende in concreto?«Che vorrei leggere un bando di ricerca dove venissero stanziati fondi adeguati solo per capire la relazione tra Sla e sport, con una gara di idee per i progetti migliori. Questa sarebbe la vera svolta culturale della sanità pubblica, ma al momento è utopia. Si sta provando a fare qualcosa in Inghilterra, ma siamo ancora in una fase molto preliminare. Tutto questo ci impedisce di capire se il fenomeno Sla nel calcio è solo italiano o può avere invece dei riflessi in altri Paesi».Con il contributo della Fondazione Vialli-Mauro e della Fondazione Borgonovo, invece, il calcio italiano sta facendo la sua parte.«Finanziano progetti che hanno portato a risultati molto importanti sulla conoscenza dei possibili meccanismi causali della malattia. Il punto è che questi fondi privati dovrebbero aggiungersi a quelli pubblici e non sostituirsi ad essi».Mario Melazzini, anima dell’associazione dei malati come lui (Aisla) e dell’Arisla (Associazione ricerca italiana Sla), è convinto che prima o poi si arriverà a una soluzione sulle cause del Morbo di Gehrig.«La penso come lui. Ci avvicineremo a capire le cause della malattia, ma solo quando saremo in grado di gestire in termini di complessità la mole di dati che vengono raccolti. La strada intrapresa è quella giusta».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: