sabato 12 marzo 2016
Cina, il Dragone ha divorato i figli
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Nel 2012 Feng Jianmei, giovane operaia cinese in attesa del secondo figlio, era al settimo mese di gravidanza quando fu portata in una clinica a sud di Pechino da tre funzionari di polizia e costretta ad abortire. La vicenda fece molto scalpore perché iniziarono a circolare online le foto che ritraevano la ragazza distesa sul letto accanto al feto insanguinato.Non si contano i casi simili verificatisi, spesso silenziosamente, da quando la politica del «figlio unico» è stata imposta in Cina nel 1980. Eppure questo brutale esempio di ingegneria sociale non passerà alla storia soltanto come un crimine ma anche come un colossale errore scientifico, le cui conseguenze si faranno sentire sull’intero sistema economico mondiale nei prossimi decenni. Ne è fermamente convinta Mei Fong, giornalista d’origine malese vincitrice del premio Pulitzer nel 2007, che ha appena dato alle stampe One Child. The Story of China’s Most Radical Experiment (Houghton Mifflin Harcourt).Il libro racconta le sofferenze di chi ha subìto sulla propria pelle uno dei più mostruosi esperimenti di controllo sociale della storia recente e analizza nel dettaglio i disastrosi effetti demografici di una legge che il Partito comunista cinese ha deciso finalmente di abolire proprio dall’inizio di quest’anno. Nel 1980 il Dragone aveva circa 970 milioni di abitanti, oggi ne ha oltre un milione e 300mila, tuttavia il tasso di crescita della popolazione, rispetto a 35 anni fa, è più che dimezzato – dall’1,2% è sceso allo 0,5% – «ma sarebbe calato lo stesso, com’è accaduto in altri Paesi asiatici – spiega Fong –, e senza avere gli effetti paurosi che hanno stravolto le vite e condizionato il futuro di tutti i cinesi».Quali sono state le peggiori conseguenze sociali della politica del figlio unico?«Anzitutto ha creato una popolazione fortemente squilibrata: essenzialmente troppi uomini e troppo anziani. Costretti a limitare il numero di figli, molte famiglie hanno preferito avere soltanto figli maschi, e di conseguenza adesso la Cina è sovrappopolata da uomini scapoli (i cosiddetti guangun), circa 30 milioni di individui che non riusciranno a trovare moglie, né a costruire famiglie tradizionali. La Cina ha anche una popolazione di età assai elevata: entro il 2050 un cinese su quattro sarà pensionato, e per sostenere questo esercito di vecchi non ci saranno che lavoratori in età assai avanzata. Nei prossimi decenni si verificheranno quindi massicci deficit pensionistici, senza contare la questione più ampia della sanità pubblica. Le due istanze sono comunque collegate, perché per effetto dello squilibrio di genere "mancano" circa 50 milioni di donne, quelle che non sono mai nate o sono state uccise in quanto figlie non volute. In Cina manca e mancherà sempre di più anche chi si prende cura degli anziani, ovvero le figlie e le nuore».Tra le conseguenze della politica del figlio unico c’è stata anche la vendita di bambini?«Sono sicuramente aumentati sia il mercato nero che i traffici illegali di bambini per l’adozione e anche quello delle donne (come mogli o compagne sessuali), ma i numeri esatti sono difficili da stimare. Nel mio libro parlo della crescita dei traffici legati agli orfanotrofi, dove in alcuni casi sono stati coinvolti direttamente gli ufficiali preposti al controllo delle nascite. Costoro hanno spesso confiscato i bambini nati fuori dalle quote previste dalla legge, che sono poi finiti negli orfanotrofi e infine adottati all’estero, anche se i loro genitori non li avevano abbandonati né volevano farlo. Fornendo bambini al mercato dell’adozione gli orfanotrofi hanno avuto notevoli benefici economici, circa tremila dollari per singola adozione».Perché nel suo libro afferma che la politica del figlio unico sia stata anche inutile per ridurre la popolazione cinese?«Prima che la legge fosse varata nel 1980, in Cina era stata adottata una politica di pianificazione demografica assai meno coercitiva chiamata "Later, Longer, Fewer" (wanxishao), che cercava di incoraggiare le persone a sposarsi tardi, ad avere meno figli e a distanziarli tra loro di almeno 3-4 anni. In quel decennio il numero medio dei componenti delle famiglie è passato da sei a tre bambini per famiglia. Secondo gli esperti la popolazione cinese avrebbe continuato a ridursi per effetto di questi programmi, senza avere l’impatto assai più drastico della politica del figlio unico. C’è inoltre l’esempio dei Paesi vicini che hanno ridotto la crescita della loro popolazione nello stesso periodo senza adottare politiche molto drastiche (Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Thailandia). Ci sono riusciti in primo luogo rendendo più facilmente reperibili i contraccettivi, educando le donne e dando loro più opportunità fuori da casa, e con l’urbanizzazione».Qual è stato l’atteggiamento delle Nazioni Unite nei confronti di questa politica? Perché nel 1983 la Cina fu addirittura premiata per quanto stava facendo?«Le agenzie delle Nazioni Unite hanno sostenuto a lungo le politiche di pianificazione delle nascite messe in atto in Cina, poiché erano principalmente preoccupate di ridurre la crescita della popolazione globale, e la Cina è la nazione più popolosa del mondo. Ma l’Onu ha anche chiuso gli occhi sul modo in cui ciò è stato fatto, e ha sostenuto a lungo che la politica del figlio unico veniva portata avanti senza alcuna forma di coercizione. Ovviamente tutto ciò non aveva senso. È difficile dire esattamente quando le Nazioni Unite si sono rese conto che era vero il contrario, e hanno affermato di essere riusciti ad alleggerire la severità di quella legge facendo pressioni sullo Stato cinese. Personalmente lo ritengo opinabile».Perché ritiene che le conseguenze delle politica del figlio unico non si ripercuoteranno soltanto sulla Cina, ma avranno effetti sull’intera economia mondiale?«La crescita economica della Cina sarà ovviamente ostacolata dagli squilibri demografici di cui parlavo. Un esercito di pensionati non è la Cina cui siamo abituati a pensare, quella che rappresenta il più grande mercato mondiale per l’acquisto di auto e telefoni cellulari. E poiché il Paese rappresenta circa un terzo della crescita economica mondiale, ciò non può non avere conseguenze anche per tutti noi».
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