mercoledì 20 aprile 2016
​Vent'anni fa si spegneva il domenicano fiorentino che fu anche maestro di teologia del giovane Wojtyla.
CIAPPI, il teologo di cinque Papi
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Teologo di fiducia per 35 anni (1955 1990) di cinque Papi del Novecento, ultimo maestro del Sacro Palazzo ma anche raffinato studioso e conoscitore di Dante e di Tommaso d’Aquino. O semplicemente, come lo definì il suo confratello Yves Marie Congar nel suo Diario del Concilio, un religioso «ultraprudente, ultracuriale, ultrapapista». Sono le prime istantanee che tornano alla mente nel rievocare il domenicano fiorentino e cardinale dal 1977, per volere di Paolo VI, Mario Luigi Ciappi, morto quasi ottantasettenne nella tarda sera del 22 aprile di vent’anni fa a Roma. Una figura quella di Ciappi ricordata spesso anche dallo stesso Henri de Lubac nei suoi Quaderni del Concilioper la sua difesa del primato petrino e dell’enciclica di Pio XII definita proprio da lui come “norma” la Humani generisdel 1950(sugli errori che minacciano la dottrina cattolica) durante il Vaticano II; o ancora per essere stato – assieme al gesuita olandese Sebastian Tromp e al confratello Marie Rosaire Gagnebet – uno degli uomini di fiducia dell’allora influentissimo segretario della congregazione del Sant’Uffizio, il cardinale Alfredo Ottaviani. Ma chi era questo dotto e raffinato figlio di san Domenico, chiamato da Pio XII a succedere nel 1955 nella delicata veste di maestro del Sacro Palazzo (ruolo affidato ai domenicani dalla Sede Apostolica fin dal XIII secolo per offrire una consulenza ai Papi su questioni prettamente dottrinali) ai carismatici e autorevoli religiosi come l’italiano Mariano Cordovani e l’irlandese Michael Browne? Mario Ciappi nacque a Firenze il 6 ottobre del 1909. Dall’età di dieci anni frequentò il collegio dei domenicani di Lucca (il ginnasio e il liceo classico) e il 4 ottobre del 1925 fece il suo solenne ingresso nell’Ordine dei predicatori scegliendo il nome di fra Luigi (al patrono dei giovani, l’ignaziano Luigi Gonzaga, rimarrà sempre legato, come testimonierà in vari scritti il suo lontano parente il gesuita Gualberto Giachi). Dopo aver approfondito il suo iniziale apprendistato filosofico-teologico nel convento dei domenicani di Pistoia, proseguirà i suoi studi al Pontificio Ateneo Angelicum di Roma. Il 26 marzo 1932 verrà ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano dal cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani. Sempre all’Angelicum (l’ateneo pontificio dei domenicani nella capitale) conseguirà nel 1934 il dottorato in teologia con la tesi dal titolo La divina misericordia come causa prima delle opere di Dio( quasi un manifesto ante litteram, letto con gli occhi di oggi, del magistero di papa Francesco). Da quella data (dopo una felice pausa di specializzazione universitaria a Friburgo e a Lovanio) proprio all’Angelicum fino al 1955 padre Ciappi assicurerà l’insegnamento di diverse discipline teologiche, a cominciare dalla teologia morale fino alla teologia sacramentaria. E sarà proprio in questi anni che tra gli allievi prediletti dei suoi corsi verrà annoverato il giovane polacco Karol Wojtyla, il futuro Giovanni Paolo II, che non dimenticherà mai le lezioni apprese (assieme a quelle di due altri domenicani di razza, Réginald Garrigou Lagrange e Paul Philippe) del suo antico maestro di teologia. Fondamentale di questi anni è anche la cura da parte di Ciappi della nuova edizione in italiano dei Quaresimalia Notre Dame di Parigi del domenicano Luigi Monsabrè o le sue note (e sempre molto affollate) conferenze sull’estetica tomista tenute nella basilica romana di Santa Maria sopra Minerva. Ma a sconvolgere la vita “ordinaria” di Ciappi sarà l’8 maggio 1955 la nomina inaspettata da parte di Pio XII a maestro del Sacro Palazzo (quello che dopo la riforma di Paolo VI del 1968 diventerà il teologo della Casa Pontificia). Da quella data il ruolo del domenicano fiorentino (a cui Pio XII, il Pastor Angelicus, ricorrerà nelle ore più inaspettate delle sue impegnative giornate solo per avere una consultazione su come citare o meno sant’Agostino in un discorso) diventerà fondamentale per la stesura di importanti documenti pontifici del lungo maanzitutto gistero pacelliano: basti pensare all’enciclica del 1956 dedicata alla devozione del Sacro Cuore di Gesù, la Hauretis aquas.  E sempre a padre Ciappi da vero uomo di fiducia della Famiglia pontificia toccherà nel settembre 1962 (con lui ci saranno anche i monsignori Alfredo Cavagna e Loris Francesco Capovilla) di partecipare a un evento esclusivo e speciale: il ritiro spirituale, guidato da Giovanni XXIII, nella torre di San Giovanni nei giardini vaticani «per preparare la sua anima» alla celebrazione del Vaticano II. E non è certamente un caso che un metro di orientamento e di aiuto per capire l’evento conciliare per i padri e periti del Vaticano II saranno gli editoriali scritti da Ciappi in quegli anni di infuocate discussioni per L’Osservatore Romano. Il teologo fiorentino offrirà soprattutto, nell’ambito di quell’assise, un contributo originale per la stesura definitiva della costituzione dogmatica Lumen gentium e per lo schema De Ecclesia poi rivisto e ultimato del gesuita e canonista della Gregoriana, Wilhelm Bertams. Sempre Ciappi firmerà, tra l’altro, l’introduzione a uno dei saggi più famosi e studiati del carismatico cardinale di Genova, Giuseppe Siri, La giovinezza della Chiesa: testimonianze, documenti e studi sul ConcilioVaticano II. E per uno strano disegno del destino nel 1967 Paolo VI vorrà accanto a sé il suo teologo di fiducia per il pellegrinaggio al santuario di Fatima. «A molti la mia presenza è parsa misteriosa. Da parte mia – confidò in quel frangente padre Ciappi – la ritengo un dono, oltre che del Santo Padre, della Madonna del Rosario, che ha forse ispirato il bianco vicario di Cristo ad associarsi un figlio di san Domenico, nell’atto di omaggio alla mistica Corona, tanto interamente connessa con il messaggio di Fatima». Dieci anni dopo, il 27 giugno del 1977, per i servigi prestati alla Sede Apostolica riceverà la berretta cardinalizia da parte di Paolo VI (con lui vi era in quel concistoro il futuro Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco). Da allora soprattutto per Giovanni Paolo II (sostituendolo addirittura a causa della convalescenza per l’attentato del 1981 per la recita del Rosario nella Cappella Paolina in Vaticano il 4 luglio di quell’anno) continuerà a offrire il suo sapere e la sua competenza come teologo della Casa Pontificia, cedendo il testimone in questo prestigioso incarico nel 1990 al confratello, lo svizzero Georges Marie Martin Cottier, scomparso il 31 marzo scorso.   E significative furono proprio le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana per i funerali del suo amato teologo e antico professore all’Angelicum, il 25 aprile del 1996: «La sua opera di studioso attento fu sempre accompagnata da un’intensa vita spirituale e di preghiera, alimento primo e fondamentale dell’intera sua esistenza. L’orazione precedeva e accompagnava la sua riflessione». A tanti anni di distanza dalla sua scomparsa rimangono ancora oggi attuali e cariche di sapore e di significato le parole affidate ad Angelo Montonati sul senso del suo essere il teologo per eccellenza dei Papi del Novecento: «La teologia cui mi sono dedicato è scienza della fede e tale resta anche quando fa propri i problemi umani. Non è stata per me una torre d’avorio, ma l’ho considerata come un faro di luce e di calore soprannaturale, che riflette sull’umanità intera la luce dello Spirito Santo: Spirito di verità e di amore, che assiste principalmente il Papa, come supremo Maestro della fede».
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