giovedì 3 settembre 2020
In Philippe Daverio personaggio e persona erano indistinguibili. Uomo dallo stile originale, direi polifonico come le numerose lingue che parlava correntemente e che gli permettevano ...
Philippe Daverio

Philippe Daverio - Fotogramma

COMMENTA E CONDIVIDI

In Philippe Daverio personaggio e persona erano indistinguibili. Uomo dallo stile originale, direi polifonico come le numerose lingue che parlava correntemente e che gli permettevano di superare con facilità confini e pregiudizi. Uno dei rari europei non solo per nascita (dal fantastico mix italo-alsaziano), ma per cultura, amore per la storia e le arti. E’ stato tante cose: storico dell’arte (“rigorosamente senza laurea”), grandissimo divulgatore, direttore di “Art Dossier”, gallerista… Anche nelle situazioni difficili, e nella sua vita ce ne sono state, non perdeva il gusto per la battuta e quella lievità, che a dispetto della stazza d’un tempo, l’ha sempre contraddistinto. “Questa malattia – diceva nel nostro ultimo incontro – è riuscita a fare qualcosa in cui non ero mai riuscito: dimagrire”.

Sapeva dialogare su tutto e con tutti. Metteva in relazione cose lontanissime, a volte con un tocco fortemente creativo, eppure aveva il raro dono di schiudere orizzonti. Con Passepartout ha aperto, vent’anni fa, la televisione alla cultura delle arti come forse non era mai successo prima. Un programma che raccontava la bellezza attraverso gli uomini e la storia, i luoghi e le tradizioni creando percorsi che invitavano ad andare oltre una cultura da biblioteca, perché non c’è visione senza cammino. Narratore ineguagliato, sapeva bucare lo schermo e offrire cultura e bellezza davvero a tutti.

Animato da una curiosità infinita era maestro nel coltivare gli incontri: gli artisti e gli intellettuali che ci presentava entravano nelle nostre case come nuovi amici, perché l’amicizia era il suo modo naturale per conoscere gli altri e il mondo. Lui era una guida sicura, certo più eccentrica e meno poetica di un Virgilio, anche per la vocazione di Philippe a farsi compagno di strada più che maestro. Ed era bello camminare con lui, ascoltare la sua voce dal timbro unico e musicale, vedere quegli occhi che brillavano quando gli si accendeva un’idea o un’intuizione maturava. E poi l’amabilità con cui accoglieva – avvolto nel suo mantello e sgargiante per il papillon dal colore allegro – i saluti di chi incrociava. Era capace di far dialogare le arti perché le amava tutte e tutte le abbracciava con la stessa naturalezza con cui si abbraccia la donna della vita. Per lui e per la sua sapienza universale in verità non c’erano distinzioni, ma una sola grande arte che andava dalla pittura alla musica, come una tavola (altra sua passione) riccamente imbandita.

“Oggi grazie al web – scriveva su “Luoghi dell’Infinito” – i musei possono competere con gli stadi come luogo nei quali si riversano le masse. Ma tra stadi e musei ci sarà sempre una differenza sostanziale: anche i turisti distratti desiderosi solo di dire “ci sono stato”, pur nella fretta potranno essere colpiti dalla bellezza del luogo e degli oggetti. Grazie a Internet potranno rivederli, e ripensarci: la cultura lascia sempre un segno. E in queste cattedrali laiche l’animo trova orizzonti più vasti, che parlano dell’eterno”.
Qualcuno ha detto che era un menestrello... Sì amava darsi le arie del cantastorie, ma in verità è stato uno dei più straordinari maestri d’orchestra che io abbia mai conosciuto. L’Accademia non ha mai amato Daverio, ma la vera cultura è vita. E con lui l’abbiamo vissuta e vissuta alla grande. Grazie Philippe.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: