domenica 20 giugno 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Nonostante la nozione di «Medio Oriente» non sia mai stata chiaramente definita, attraverso di essa facciamo normalmente riferimento ai paesi della «Mezzaluna Fertile» (Palestina, Israele, Libano, Giordania, Siria, Iraq), della penisola arabica (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen) e a Egitto, Cipro e Iran. Spesso vi si include anche la Turchia. La complessità della Chiesa Cattolica nella regione risulta evidente se si osserva la composizione del Consiglio presinodale, composto di sette patriarchi, che rappresentano le sei Chiese Patriarcali e il Patriarcato Latino di Gerusalemme, e da due presidenti di Conferenze episcopali. I sei Patriarcati (non-latini) sono quello Copto, Greco-Melchita, Maronita, Siriaco, Armeno e Caldeo.Il tema del prossimo Sinodo «Comunione e Testimonianza» indica indirettamente il problema fondamentale della regione: la comunione e la testimonianza della Chiesa sono messe a dura prova in un ambiente di profondo conflitto sociale, politico e religioso. Infatti, il primo capitolo dei Lineamenta, intitolato «La Chiesa Cattolica in Medio Oriente», parla apertamente dei problemi che i cristiani della regione devono affrontare e per i quali non possono semplicemente attribuire la responsabilità ad altri. Le divisioni e i conflitti tra i cristiani per lungo tempo sono stati tutto tranne che una prova di «comunione e testimonianza» e possono essere considerati una delle ragioni che spiegano perché l’Islam si sia diffuso così potentemente in regioni in precedenza quasi esclusivamente cristiane.In tempi più recenti, per ragioni legate a problemi economici e a discriminazioni politiche e religiose, in molti Paesi del Medio Oriente i cristiani hanno avuto la tendenza a emigrare. Ciò significa che a essere finalmente in gioco è la presenza dei cristiani nella loro patria d’origine. Ovviamente tali sviluppi riguardano la Chiesa nel suo complesso e diventano un’autentica preoccupazione per le autorità della regione.D’altra parte si verifica una notevole emigrazione da altre parti del mondo in direzione della regione, specialmente in quei Paesi in cui la manodopera di ogni tipo è fortemente richiesta. Questo è in particolare il caso del Golfo, dove milioni di stranieri dall’Asia, da altri Paesi del Medio Oriente e dal resto del mondo, lavorano praticamente in ogni settore dell’economia. Tra questi milioni di persone si trovano molti cristiani provenienti da tutto il mondo e perciò cattolici di tutte le tradizioni («riti»). A causa dell’emigrazione da Paesi con situazioni di insicurezza politica e sociale, soprattutto per i cristiani, e dell’immigrazione di cristiani da tutto il mondo verso i Paesi del Golfo in rapido sviluppo, ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: da una parte, molte vecchie Chiese tradizionali – alcune in unione con il vescovo di Roma, la maggior parte no – sullo stesso territorio lungo una striscia che va dall’Egitto all’Iraq, con sempre meno fedeli ma strutture pesanti e, dall’altra, una Chiesa giovane, vibrante, fatta di fedeli di più di cento nazionalità con le rispettive tradizioni, ma con strutture deboli per via della limitata libertà della maggior parte dei Paesi del Golfo.È comprensibile che le diverse Chiese, indebolite nei loro Paesi di origine, mostrino un crescente interesse per i loro fedeli che sono emigrati per sempre o che lavorano temporaneamente all’estero. Tuttavia la mancanza di una piena libertà di religione e di culto rendono spesso molto difficile, se non impossibile, creare le strutture necessarie per tutte le tradizioni ecclesiastiche. Molti dei migranti si portano addosso i traumi dell’esperienza della guerra o i segni di tensioni tribali e religiose nei loro Paesi d’origine. Troppo spesso anche i vescovi cattolici delle differenti tradizioni ecclesiali non sono consapevoli del fatto, oppure lo negano, che dare la priorità alle tradizioni a scapito dell’unità è parte del problema e non la sua soluzione. È un dato di fatto che più la voce e il volto della Chiesa sono polifonici e policromi, più si indebolisce la sua testimonianza e la sua posizione nei confronti della maggioranza musulmana in cui è immersa, detentrice del potere politico, religioso, sociale ed economico.È un fatto che nel Golfo esiste una vitalissima «Chiesa pellegrina» di migranti organizzati in due vicariati apostolici (Arabia e Kuwait). Il numero totale di cattolici è possibile che rasenti, o addirittura superi, il numero complessivo di tutti gli altri Paesi del Medio Oriente. Tuttavia, a causa dell’assenza di una vera libertà religiosa e di una vera libertà di culto, e per via dell’inesistenza di una comunità cattolica locale, questa Chiesa non ha mai attirato più di tanto l’attenzione delle altre Chiese finché queste ultime non hanno capito che i migranti potevano diventare oggetto di interesse pastorale e – a volte in modo anche più importante – economico per i Paesi di origine.Le Chiese del Medio Oriente necessitano di una solidarietà fraterna con tutta la Chiesa Cattolica per uscire dal circolo vizioso delle lotte politiche da una parte e delle gelosie dall’altra. Questo le aiuterà a rinnovare una mentalità e uno stile di vita autenticamente cristiani e cattolici, che sono la miglior cura alle ferite che hanno profondamente colpito l’intera regione. Sarà una sfida per la nostra fede, una fede capace di muovere le montagne di odio e lasciare spazio alla riconciliazione e alla pace.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: