martedì 14 settembre 2010
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Aveva un caratteraccio. Burbero. È vero. Ma orgoglioso e deciso a non piegarsi di fronte al potere. Anche a costo di vivere, lui, la moglie e gli otto figli, in ristrettezze. Anche a costo di adattarsi, lui che era musicista, a disegnare carte da gioco o a  compilare un erbario. Luigi Cherubini non ha piegato la testa nemmeno di fronte a Napoleone. Che all’epoca era considerato il padrone del mondo. «Cittadino generale occupatevi di battaglie e di vittorie e lasciate che a mio talento eserciti un’arte che voi non conoscete» aveva buttato in faccia a Bonaparte che gli aveva offerto di guidare le Accademie musicali di corte, ma aveva anche criticato la sua musica definendola «troppo rumorosa». Oggi si celebrano i 250 anni dalla nascita del musicista, nato a Firenze il 14 settembre del 1760, decimo di dodici figli. E la sua città lo ricorda. Con una commemorazione ufficiale (oggi alle 11 al palazzo della Regione Toscana), una rassegna concertistica (tra Firenze, Venezia e la Francia) e un convegno di studi (8 e 9 ottobre). Ma con il sogno di poter far rientrare in Italia le spoglie del musicista, oggi sepolto nel Cimitero monumentale parigino, e collocarle in Santa Croce dove nel 1869 i fiorentini costruirono un monumento per ricordare l’illustre concittadino. Un uomo come oggi non se ne trovano più, verrebbe da dire ripensando a Napoleone. Ma un uomo fuori dagli schemi anche per il suo tempo quando per lavorare occorreva essere accondiscendenti con il potere. Studi musicali in Italia – tra Firenze, Bologna e Milano –, si trasferisce a Parigi nel 1788 in piena Rivoluzione. Per sopravvivere si arruola nella Guardia nazionale dove lo mettono a suonare il triangolo nella banda. Scorta molti prigionieri alla ghigliottina, ma rischia anche la pelle quando si rifiuta di accompagnare i canti patriottici di un gruppo di sanculotti che lo inseguono al grido di «dagli al realista!». Finita la Rivoluzione Cherubini, decorato con la Legion d’onore, si dedica alla sua grande passione, l’insegnamento al Conservatorio di Parigi di cui sarà direttore dal 1821 al 1842, lasciando l’incarico poche settimane prima della morte, avvenuta il 15 marzo. E compone. Cosa che gli risultava abbastanza facile tanto che il suo primo lavoro, una Messa solenne, lo porta a termine a soli 13 anni. Opere come Medea o Lodoïska (che si ascolterà il 13 ottobre alla Fenice di Venezia e il 15 a Roma a Santa Cecilia), musica da camera e molte pagine sacre: undici messe, una per l’incoronazione di Carlo X, e due Requiem, il più famoso, quello in do minore, per commemorare Luigi XVI che Cherubini vide salire al patibolo. E se il pittore David azzarda un «eccezionale» di fronte a un suo disegno, è la musica di Cherubini a lasciare il segno. In Beethoven e Schumann. E nel Novecento. In Maria Callas, che riscopre Medea facendone un suo cavallo di battaglia, e in Riccardo Muti (da sempre, grandissimo fan di Cherubini), che gli intitola la sua orchestra giovanile e che da tempo lavora alacremente per il ritorno a Firenze delle spoglie di Cherubini. Solo così, probabilmente sarà colmato il debito dell’Italia con un suo figlio, costretto a vivere all’estero la maggior parte della vita.
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