mercoledì 10 febbraio 2010
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L’11 febbraio di vent’anni fa – era il 1990 – si spegneva a 95 anni nel convento di Saint Jacques in rue des Tanneries a Parigi l’allora patriarca dei teologi, il domenicano Marie Dominique Chenu. Nato nel 1895, padre Chenu moriva nel Quartiere Latino non lontano dalla Sorbona, ateneo in cui aveva insegnato da giovane professore e prima di attraversare, con il suo inseparabile abito bianco e nero, il Novecento affrontando cruciali battaglie: dallo studio innovativo del pensiero di Tommaso d’Aquino, alla storia medievale e – non da ultimo – al ruolo ricoperto durante il Concilio Vaticano II come perito. «Sono un vecchio medievalista, con qualche reputazione – confidò lo stesso Chenu, pochi giorni prima di morire, al giornalista Domenico Del Rio – ma mi sento come un capretto saltellante sugli avamposti della Chiesa». Il religioso era un personaggio conosciuto e stimato in tutta la Francia, cattolica e laica, ma soprattutto apprezzato come teologo e ancor di più come medievalista. Chi tra i primi riconobbe, non a caso, la grandezza di Chenu proprio in questo campo, furono storici del calibro di Giuseppe Alberigo, Jacques Le Goff e padre Louis-Jacques Bataillon – morto esattamente un anno fa. Allievo all’Angelicum di Roma del grande confratello Réginald Garrigou-Lagrange, Chenu negli anni della sua maturazione teologica si impose all’attenzione dei colleghi con la pubblicazione nel 1942 di Ecole de théologie. Le Saulchoir. Il volume verrà messo all’indice dal Sant’Uffizio con l’accusa di aver adottato il «metodo storico in teologia» e quella condanna costerà a padre Chenu la sospensione dall’insegnamento nelle università cattoliche. Un destino, il suo, per molti versi simile a quello di altri due esponenti della Nouvelle théologie: il gesuita Henri de Lubac e il domenicano Yves-Marie Congar. Saranno poi il vento del Concilio e Giovanni XXIII a riabilitare non solo il metodo innovativo, ma anche tutto il pensiero di Marie-Dominique Chenu. A vent’anni dalla morte, di questo grande pensatore rimane viva più di tutto l’eredità come studioso della teologia medievale, soprattutto per il periodo dall’XI al XIII secolo. Ne è convinto il discepolo e custode dell’archivio Chenu, il teologo e docente alla Facoltà teologica di Lugano monsignor Inos Biffi: «Credo che lo Chenu medievista resisterà al tempo, lo studioso che (pur con i suoi limiti e le critiche che non hanno mancato di essere segnalate) ha impresso una svolta nel metodo e nei risultati alle analisi sulla teologia e più in generale sulla cultura medievale. Egli è stato per me il più geniale storico della teologia medievale». Torna alla mente di Biffi, come in un album dei ricordi, la lunga amicizia intercorsa con il grande francese per più di trent’anni, dal 1959 al 1990: «Mi ha sempre incoraggiato nei miei studi e nelle ricerche, specialmente su san Tommaso – rivela monsignor Biffi –. Di lui posseggo molti manoscritti; mostrandomeli mi diceva che sarebbero serviti ad "alimentare il suo purgatorio". Si tratta di appunti, trascrizioni, schemi di lezione inediti sui grandi teologi medievali inglesi e del periodo barocco, assieme alle lettere da me ricevute. Si potrebbe pensare di pubblicare, in forma adeguata, parte di questo materiale. Sarebbe un mio gesto di omaggio verso questo grande pensatore e amabile maestro».Chi mette in evidenza l’attualità e l’audacia del pensiero di Chenu e del suo «tomismo aperto», nonché della grande impronta che ha lasciato su pensatori del calibro di Congar, Claude Geffrè e del recentemente scomparso Edward Schillebeeckx, è il teologo domenicano Alessandro Cortesi, autore tra l’altro del bel saggio Marie Dominique Chenu. Un percorso teologico (Nerbini, pp. 212, euro 14): «Chenu è stato il maestro sia di Congar che di Schillebeeckx. Entrambi si sono messi sulla scia del maestro, facendo tesoro della sua lezione più cara: affrontare la teologia mantenendo un riferimento al pensiero cristiano ma leggendolo nella sua evoluzione ed essendo sempre in dialogo con i percorsi della modernità». Il pro-teologo emerito della Casa pontificia, il cardinale svizzero Georges-Marie Cottier, fa affiorare dai suoi ricordi un aspetto poco conosciuto della biografia di Chenu: la sua attenzione per i preti operai e di riflesso per la teologia del lavoro negli anni del dopoguerra in Francia. Non a caso Chenu è stato uno dei pochi teologi ad essere citati nell’enciclica sociale di Paolo VI, la Populorum progressio. Cottier ricorda a questo proposito la prefazione che lo stesso Chenu gli fece a un libro del lontano 1967, Chrétiens et marxistes avec Roger Garaudy/Georges Marie Cottier. «Gli sono ancora grato per quella prefazione – afferma il cardinale –. Egli come san Domenico era un vero vir evangelicus. Credo che più di altri capisse la questione operaia perché era uno storico ma anche un teologo. In Chenu vibrava questa tensione». Ma proprio su una questione nodale come il dialogo con il marxismo, agli occhi di Cottier, il domenicano francese riuscì a capire più di altri: «In lui c’era qualcosa di romantico, quasi di ottocentesco. Padre Chenu ha conosciuto dei comunisti generosi. Non so se si è misurato con il marxismo che si sviluppava oltrecortina. Ma il suo libro sul lavoro, nonostante forse oggi sia datato perché egli non poteva prevedere la rivoluzione informatica e la globalizzazione, ha ancora dentro di sé delle grandi intuizioni. La sua maggiore ricchezza? Forse quella di non essere stato solo un raffinato teologo, come lo era invece De Lubac, ma anche di essere un prete accanto alle vicende quotidiane degli uomini, ai loro problemi». Resta vivo anche il ricordo del ruolo di Chenu come perito al Concilio, documentato nel suo Diario del Vaticano II (Il Mulino, pp.160, euro 10). «Padre Chenu è stato il teologo – rivela padre Cortesi – che più si è speso perché nella Gaudium et spes fosse adottata l’espressione "segni dei tempi". Un’altra sua impronta è il superamento della "cristianità costantiniana". Secondo lui il Concilio avrebbe condotto a un’intelligenza della fede più profonda, in una continua rilettura per portare la parola di Dio in un mondo nuovo».A questo proposito torna alla mente di Inos Biffi come lo stesso Chenu tentò di convincere il grande filosofo cattolico Etiénne Gilson ad accettare in toto la riforma conciliare: «Esiste un intenso carteggio tra i due, fatto di tesi e di antitesi, in cui traspare tutto il grande ottimismo del domenicano per il futuro della Chiesa». Una lezione e un’eredità, quella di Marie Dominique Chenu, che al cardinal Cottier appare attuale e feconda ancora oggi, anche per la sua forza profetica: «Comprese prima di altri i problemi che affliggevano il Terzo mondo. Chenu aveva previsto la fine del colonialismo ed ha intuito, prima di altri, molte delle cose che si sono poi avverate. Credo che il maggiore debito di riconoscenza verso i suoi insegnamenti sia la presenza pastorale del teologo nella vita della Chiesa: oggi è un dato acquisito, ma non era certo così ai tempi della giovane vita accademica di Chenu».
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