martedì 3 luglio 2012
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A come Auschwitz. Da un campo di calcio a un campo di prigionia, quello dello sterminio nazista degli ebrei. La visita della Nazionale a Auschwitz il 6 giugno è stato uno dei momenti più intensi di questo Europeo. Le lacrime di Thiago Motta, lo sguardo triste di Mario Balotelli e di tutti gli azzurri, un giorno della memoria che ogni nazionale dovrebbe compiere, almeno una volta l’anno.
B come Buffon. Gigi che gioca d’azzardo, che ama scommettere su tutto, anche su se stesso, che soffre la depressione e la solitudine dei numeri 1. Però a Buffon dategli due pali e una rete e lui la custodisce come fosse casa sua. Da capitano gli è stata negata la gioia di alzare la Coppa d’Europa, ma resta comunque davanti a Casillas, nonostante i 4 gol incassati (senza colpa) in finale con la Spagna.
Cristiano Ronaldo, il più amato dagli esteti del calcio e il più odiato dalle tribune degli stadi polacchi - e non solo -, perché giudicato: «troppo presuntuoso per essere umano». Cristiano, l’uomo bionico che corre alla velocità della luce e calcia le punizioni come Robocop. Fino ai quarti era Pallone d’Oro in pectore, poi in semifinale, ai rigori con la Spagna, sceglie di battere per ultimo, per inseguire, come sempre, prima la gloria personale. Quel rigore non lo calcerà mai e ora è un perdente d’oro.
Dorsali. Quelli tirati, lucidi e scuri di Mario Balotelli, mostrati dopo il secondo gol alla Germania, rimangono uno degli spot più rilanciati da tutte le tv del mondo. La Balotelli-mania, dopo il gesto del culturista Mario, ha contagiato tutte le tifose di Polonia-Ucraina che a larga maggioranza lo hanno eletto «l’Adone di Euro 2012».
Endless Summer, l’Estate Infinita, il tormentone di Euro 2012. L’abbiamo sentita cantare e ballare da tutti (persino delle suorine di Wielizcka), per le strade e negli stadi. Trascinante come la Waka-Waka di Shakira, il brano di Oceana Mahimann, ragazza di colore, tedesca, ma originaria della Martinica, è lo specchio di un’Europa multietnica che sta cambiando, che crede sempre più nell’integrazione e che lancia un ponte ideale da Varsavia-Kiev, fino a Rio de Janeiro, Mondiali del 2014.FanZone. Il grande parco dei tifosi dislocato nelle 8 città sedi di Polonia-Ucraina. L’hanno occupato per tre settimane piccoli eserciti colorati, truppe pacifiche come la Trapattoni’s Arm che ha portato 20mila irlandesi al seguito. Più o meno quanto gli spagnoli vestiti da finti toreri e ballerine di Siviglia. Meno pacifici i russi (scontri a Varsavia) e gli ultrà croati. Pochi gli italiani (neppure 5mila per la finale): la Nazionale da sempre non tira quanto le squadre di club. Provaci ancora Cesare, a cambiare anche questo.
Germania. Ma quando la smetteranno i tedeschi (media e tifosi) di dire che hanno vinto la guerra prima di averla combattuta? Anche nel calcio continuano a farlo, a tutto svantaggio dell’ammirevole e multietnica Germania di Loew che ha subito l’ennesima lezione di calcio dalla "bestia nera" (stavolta in tutti i sensi, doppietta di Balotelli) Italia. Finché la Bild&C, alla vigilia di Italia-Germania, continueranno a scrivere «Pizza a casa» o «Arrivederci Azzurri», è sicuro: con noi non vinceranno mai.
Hotel. “Quello stupido Hotel”, canta Vasco, ma per gli inviati al seguito della Nazionale (molto più massicci e arrabbiati di quelli di guerra) l’Hotel invece, è “il problema”. Meglio quello con una stella in più della maglia azzurra, quindi a 5 stelle. Se qualcosa nella stanza non funziona o il ristorante non ha in menù gli spaghetti alla carbonara, minacciano il boicottaggio: per molti di loro, molto più giustificato di quello per i diritti umani violati alla Timoshenko.
Iana. È il nome dell’unica volontaria Uefa di Kiev che parlava italiano. Iana ci ha stupiti, quasi quanto la Nazionale di Prandelli, per il suo idioma pulitissimo, imparato indovinate dove? Allo stadio Olimpico (non l’Olimpiyskiy) di Roma: «Ci vado almeno dieci volte l’anno a seguire la Lazio. È lì che ho imparato la vostra lingua, leggendo i giornalini dei tifosi che parlano della mia squadra del cuore». Quando si dice il linguaggio universale del calcio...
Lewandowski. La Polonia era aggrappata ai piedi di Robert Lewandowski, che ha segnato al debutto contro la Grecia e poi si è spento insieme a tutta la nazionale del licenziato Zmuda. I tifosi della Reprezentacja confidavano tanto in lui, nel "Beckham polacco" e negli altri due connazionali (Piszcek e Blaszczykowski) del Borussia Dortmund campione di Germania. Inserita nel "girone gulag", con Repubblica Ceca e Russia, la Polonia è uscita subito di scena, ma nessuno ha ancora smesso di intonare il nome dell’idolo Lewandowski.
Merkel. La cancelliera tedesca Angela Merkel non poteva vincere il premio fairplay, perchè quando ha potuto ha assestato gomitate all’avversario Ue di turno della sua Germania. Così è diventata la capa-ultrà della nazionale di Loew. “FANAngela” l’hanno ribattezzata in patria. E ce l’ha messa tutta frau Merkel per stare vicina a Gomez e compagni, ma il suo cameratistico sostegno non è bastato. Il problema ora è che pare sia convinta che la Germania abbia perso con l’Italia perchè lei non era presente alla semifinale di Varsavia.
Napolitano. Il Presidente è stato il 12° uomo della Nazionale di Prandelli. «In un momento di miseria come questo, Napolitano ha la statura di un gigante», ha riconosciuto il nazionalista capitan Buffon. Un’amore reciproco quello scoccato tra gli azzurri e il Presidente della Repubblica che, al ritorno da Kiev, ha invitato la Nazionale al Quirinale, a prescindere dal risultato della finale. Anche Napolitano ha capito la lezione di Prandelli: «Prima del risultato, viene il gioco».
 
Organizzazione. Euro 2012 è stato l’Europeo della Polonia e poi, forse, anche dell’Ucraina. Abbiamo assistito a due Europei paralleli: ben organizzato e partecipato quello sul fronte polacco, caotico e insicuro quello ucraino. La Polonia avrebbe avuto gli 8 stadi a disposizione per farsi l’Europeo da sola, ma non aveva i gasdollari e le aderenze politiche del presidente della federcalcio ucraina, Surkis, che è riuscito a portare perfino la finale a Kiev, capitale che non fa neppure parte della Unione Europea. Una magia di Platini?
Pirlo. Andrea Pirlo, il più stimato degli italiani in Europa. Ce lo invidia tutto il mondo questo playmaker di 33 anni, dato per finito al Milan (quanto avrà pianto in questi giorni Galliani?) e che invece ha fatto ricucire lo scudetto sul petto della Juventus degli invincibili di Conte (38 partite senza sconfitte). Pirlo era imbattuto da due anni in campionato e da 15 partite in azzurro (quelle del ciclo Prandelli), poi è arrivata la Spagna a rovinargli un Europeo da Pallone d’Oro.
Qualità. «La qualità non è richiesta», diceva Gaber, invece nel calcio si parla e si vince solo se c’è di mezzo la qualità. Un termine, "qualità", che ormai ha sballato nell’indice di gradimento degli addetti ai lavori, superando il vetusto "tennico"- tradotto, tecnico- trapattoniano o il sacchiano "umiltè". Ed è il calcio italiano a esportare la "qualità". La riprova? «Balotelli ha dato qualità a questa Italia», firmato: il presidente Uefa, Michel Platini.
Razzismo. «Se sentiamo cori o insulti razzisti contro Mario, siamo pronti ad alzarci e lasciare la panchina», avevano detto gli azzurri, compatti, alla vigilia di Euro 2012. Allarme razzismo rientrato, nonostante la Bbc c’abbia messo il carico da novanta, trasmettendo un documentario in cui si ipotizzava uno scenario da "apartheid" in Polonia-Ucraina. Risultato finale: nessun episodio di intolleranza razziale, ma anzi il black-italian Balotelli, è stato eletto idolo assoluto.
Spagna. Un po’ più noiosi e un po’ meno marziani, fino alla semifinale con il Portogallo, vinta ai rigori. Ma alla fine, complice anche un’Italia stremata, la Spagna di Del Bosque è tornata squadra di un altro pianeta. Come in un cruciverbone, dopo aver dato tutte le risposte in orizzontale - affidandosi al solito palleggio elegante e mandato a memoria dagli eterni quasi Pallone d’Oro Iniesta e Xavi -, le Furie Rosse hanno risposto con 4 gol in verticale, cercando e trovando titolo e storico "triplete".
Trapattoni. A 73 anni e 3 mesi come un’highlander si è buttato fiducioso su questo Europeo. Contro Spagna e Italia era impossibile far finire "the cat in the bag". Per uno abituato a vincere tanto, non è stato il massimo uscire subito, con 3 sconfitte, 9 gol subiti e solo uno segnato. Anche a Dublino sono stati capaci di criticare il gran Giuàn che però ci ha riso su e ha rilanciato: «Vi porterò ai Mondiali del Brasile». Per allora, avrà 75 e 3 mesi. Lunga vita al Trap.
Umanità. Quella che si è respirata nella civilissima Cracovia e nel ritiro azzurro di Wieliczka, dove il sale delle miniere è finito anche nelle zucche, specie quelle un po’ più dure, dei ragazzi della Nazionale. L’Italia così, con stupore, ha scoperto che un calcio più umano, non solo è più bello, ma è anche vincente.
Volare. Mentre Cassano nello spogliatoio azzurro ha lanciato il tormentone “Non succederà più” (canzone di Adriano Celentano e Claudia Mori), per le strade di Polonia e Ucraina è riecheggiato a ogni vittoria della Nazionale il "Volare" di Modugno. A cantarlo non erano solo i pochi connazionali arrivati a Euro 2012, ma il polacchi e gli ucraini che con il loro tifo sincero e disinteressato hanno fatto volare l’Italia, fin quasi nel blu dipinto di blu.
Wojtyla. Si è sentita eccome la presenza di Papa Wojtyla. Nella sua Cracovia, l’Italia sfibrata dall’iniziale scetticismo e umiliata dagli avvisi di garanzia (a Criscito rimasto a casa), ha camminato sulle tracce lasciate da Papa Giovanni Paolo II avvertendone tutto il carisma. La Nazionale ha ritrovato fiducia in se stessa e Prandelli ha allenato la sua spirirtualità con i due pellegrinaggi al monastero camaldolese di Bielany. Quando si dice che il calcio è una fede...
Zoom. A rivederlo, in velocità, del film di questo Europeo, restano tante immagini di gioia condivisa dall’Italia unita, il bacio di Balotelli a mamma Franca, le sensazioni positive di Prandelli, la catena azzurra prima dei rigori con l’Inghilterra, la gara perfetta con la Germania, la voglia di stupire, il sudore, la fatica per essere arrivati quasi in cima al tetto d’Europa e avere accarezzato un sogno. Grazie Italia.
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