domenica 30 ottobre 2022
In due riproposizioni dell’Ifigenia in Tauride e del Werther si nota un rapporto più “spigliato” con l’autore tedesco. Nel Carteggio con Schiller pose i cardini del Neoclassicismo
Il giovane Goethe, dipinto di Georg Melchior Kraus (1775-1776)

Il giovane Goethe, dipinto di Georg Melchior Kraus (1775-1776) - Stiftung Weimarer Klassik

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“Fico! Un classico dilemma! Come una tragedia greca!” “Cool”. “Ifigenia in Tauride!”. “Esatto!”. Questo è il telegrafico dialogo tra due giovani, abbastanza “fatti”, in un episodio di Kleo, una serie tedesca di successo su Netflix, che segnala come il capolavoro goethiano sia ancora (con mio stupore) un riferimento del gergo giovanile. Eppure il dramma del 1787 era stato sempre considerato marmoreo, algido, distante. Ma ora si profila una svolta nella recezione del neoclassico, come conferma lo stile assai spigliato con cui Rossana Menghini affronta il tema settecentesco nel saggio: L’ “Ifigenia in Tauride” di Goethe. Genesi e maturità postuma di un dramma in movimento (Castelvecchi, pagine 198, euro 20,00). Un esempio: « Bando alle ciance e assistiamo allo strip-tease esegetico propostoci da Lessing », il quale per l’autrice anticipa il lavoro goethiano. Forse è proprio un tale lessico sbrigliato che può ripescare il dramma dall’oblio. Il saggio, ispirato da letture di Adorno e Benjamin, cerca d’illustrare la sostituzione del mito col diritto, intrapresa da Goethe, non a caso ministro durante la stesura dell’opera, che viene così “umanizzata” (per lo scrittore il dramma era «diabolicamente umano»). Non è l’unico tentativo di avvicinarsi spregiudicatamente a Goethe. Infatti, ritorna - a cura critica di Maria Fancelli - la prima edizione del Werther per Marsilio (pagine 336, euro 15,00), con una ouverture parimenti disinvolta da parte di Jonathan Bazzi (1985), il campione dei romanzi Lgbt. Per lui: « I dolori del giovane Werther è un ultralibro sulle iniziazioni del desiderio che ha prodotto mondo, più mondo di quello che c’era: un nuovo mito della giovinezza ». Con quel “romanzetto” di un centinaio di pagine Goethe s’impone alla letteratura universale: da quel fatidico 1774 cambiò la sensibilità culturale ed esistenziale e non solo dei giovani tedeschi, come provano la fortuna italiana con Leopardi e Foscolo e quella francese con Chateaubriand, Senancour, Benjamin Constant, George Sand fino all’opera di Massenet. Cambiamento e insieme continuità: non a caso Werther parla continuamente del “suo” Omero, con un sorprendente rapporto di identificazione. D’altronde Goethe era influenzato dall’ermetismo della Aurea Catena Homeri, che il giovane aveva letto e riletto in quegli anni “rivoluzionari”. In realtà, la rivoluzione dello Sturm und Drang fu poco eversiva e molto più vicina alla tradizione di quanto si sia creduto. È che ogni generazione rivive la tradizione. Anche noi ci confrontiamo con opere ormai canoniche con un atteggiamento rinnovato come nota Maria Fancelli: « Alla nostra coscienza di lettori moderni, per esempio, scossi dagli effetti di devastazione del paesaggio e del clima, non può sfuggire quella che si potrebbe chiamare la “sensibilità verde” del giovane Werther ». La concezione della natura goethiana era pervasa da profonde suggestioni spirituali, mutuate dal pietismo e dalla concezione teologica della natura, ancora presente nella cultura luterana. Tutti i temi del neoclassicismo vennero discussi e approfonditi da Goethe e Schiller nel loro Carteggio (1794-1805), che finalmente torna, in una nuova edizione integrale, a cura di Maurizio Pirro e Luca Zenobi, pubblicato da Quodlibet per l’Istituto Italiano di Studi Germanici (pagine 1.040, euro 60,00) . Si tratta di una pietra miliare della cultura europea: infatti l’epistolario –voluto da Goethe alla morte dell’amicofornisce una interpretazione autentica del “Laboratorio Weimar”. Le lettere costituiscono un corpus aperto, non dogmatico, non rigido, proponendo un meraviglioso intreccio dialogico che sostenne e spronò l’attività dei due autori e che fu all’origine di una delle stagioni più creative della letteratura europea. Le lettere rappresentano, secondo le dichiarazioni dei protagonisti, l’estetica del Classicismo di Weimar: furono dieci anni che sorpresero la cultura tedesca, in mezzo alle disastrose conseguenze della Rivoluzione Francese, all’ordine europeo di Napoleone e all’impetuoso sorgere del romanticismo. Insomma non ci si annoiava proprio, persino in un paesino come Weimar: la capitale spirituale della Germania aveva poco più di seimila abitanti (oggi 65.000). Il carteggio rappresenta un’esperienza unica, conclusasi con la precoce morte di Schiller nel 1805. L’immenso progetto di una Humanität ideale, di un nuovo umanesimo tramontava. D’allora Goethe s’isolò sempre più. Mozart se n’era andato nel 1791 a 35 anni, l’altro grande di Weimar, Herder nel 1803, Charlotte von Stein nel 1827, nel 1828 scomparve il Granduca Carl August di Weimar, il mecenate e l’amico di una vita, nel 1830 a Roma morì il figlio, Hegel nel 1831. Intanto si era affermata una nuova generazione, quella dei romantici, che proponevano altri orizzonti estetici e un’altra spiritualità, ma già incalzava un movimento, tutto sommato anti-artistico, che premeva verso problemi politici, incentrati sulla richiesta delle libertà civili, mentre sullo sfondo si delineava la questione sociale. Quando morì, nel 1832, Goethe era considerato un sopravvissuto, un superstite, eppure ora leggendo il carteggio ne scopriamo l’attualità intellettuale e spirituale, confermata da uno straordinario programma di pratica estetica.

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