venerdì 4 dicembre 2015
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Giuseppe Verdi antidoto alla minaccia del terrorismo. «Perché con la sua musica ci trasmette forza e fiducia. Affidarsi alle sue note, che ci insegnano il coraggio di sostenere le nostre idee, penso sia molto importante sempre, ma soprattutto in questo momento storico ». Riccardo Chailly il 7 dicembre sarà sul podio della Scala per la Giovanna d’Arcoche inaugura la nuova stagione del teatro milanese. Nessuna Giovanna 'jihadista', però. Sul palco il Medioevo della vicenda ci sarà, riletto in chiave onirica dai registi Moshe Leiser e Patrice Caurier. «La vera attualità della partitura – racconta il direttore d’orchestra milanese – sta nel modo in cui ci mette davanti ai nostri sentimenti. Che sono gli stessi di Giovanna, del padre Giacomo e del re Carlo VII».Maestro Chailly, quale il valore di questa partitura che alla Scala mancava da 150 anni?«Quello che Verdi ha trovato leggendo il dramma di Friedrich Schiller, la storia di una donna che lotta per l’amore e per la patria. Nel melodramma verdiano c’è un carattere patriottico affidato al coro che diventa il quarto protagonista: una svolta, perché nelle precedenti opere del musicista di Busseto il coro non era mai stato così tanto in scena e con un ruolo così fondamentale, eco dei sentimenti dei protagonisti, coscienza civile».In scena però niente attualità. Piuttosto una regia che guarda al Medioevo, fedele a un libretto che non lo fu altrettanto alla storia...«Certo il testo di Temistocle Solera a volte sembra poco coerente nel raccontare le vicende, tanto che Giovanna non muore sul rogo, come sappiamo è successo, ma in battaglia. C’è però la storia di una ragazza che vive delle contraddizioni e che deve fare i conti con un padre dominante. Un tema, quello della paternità, caro a Verdi e che tornerà nei suoi capolavori e che vale oggi come ieri. Giovanna d’Arco in questo senso ci racconta qualcosa di noi. Ecco l’attualità dell’opera». Quando è sul podio pensa al suo essere padre? «La tentazione potrebbe esserci, ma mi impongo di concentrarmi solo sull’aspetto musicale. Perché è un’opera difficile per i cantanti, chiamati a confrontarsi con una scrittura vocale sempre in bilico tra il belcanto del primo Verdi e gli slanci energici ed eroici della maturità. Ma Giovanna è forse ancora più complessa per il direttore. La vicenda, non lo nascondo, è emotivamente sempre coinvolgente e alla fine arrivo molto provato, segnato dalla storia e trasfigurato dalla bellezza della musica. Un’esperienza che spero possa fare anche il pubblico». Quando ha scoperto questa partitura?«Da ragazzo mi sedevo al pianoforte e leggevo le opere del giovane Verdi: le suonavo e scoprivo la grandezza della sua musica. Poi ho ascoltato alcune incisioni, quella del 1951 con Renata Tebaldi e Carlo Bergonzi e quella del 1973 con Monserrat Caballè e Placido Domingo. E si è accesa la passione per Giovanna: ho sempre diretto la sinfonia, poi sono riuscito a portare in teatro l’opera completa, al Comunale di Bologna nel 1989».Giovanna d’Arco è un Verdi poco eseguito. Cosa la fa essere un convinto sostenitore di quest’opera? «Nella partitura ci sono le idee del grande Verdi. Il Miserere del Trovatore nasce dalla scena della Cattedrale di Reims; la banda che il compositore mette qui, accompagnamento che per il tempo era inusuale, tornerà nelle trombe di Aida... Mentre l’affresco corale che Verdi dipinge con il popolo francese che assiste all’incoronazione   prelude alla grande scena dell’'auto da fé' del Don Carlo. E l’apertura del secondo atto ha scritto in filigrana il Dies Irae del Requiem ». Verdi, insieme a Giacomo Puccini, caratterizzerà il suo percorso musicale alla Scala.  «Penso sia fondamentale guardare al passato e alla nostra storia per gettare in avanti lo sguardo e soprattutto provare a capire il presente. L’ho fatto nei miei anni al Concertgebow di Amsterdam e al Gewandhaus di Lipsia. E lo farò anche alla Scala».
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