sabato 12 ottobre 2013
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La domanda a Riccardo Chailly la facciamo solo alla fine, quando oramai l’intervista si è chiusa. Impossibile non rivolgergliela. Perché da qualche tempo si fa il suo nome come possibile nuovo direttore musicale del Teatro alla Scala. Il sovrintendente Alexander Pereira ha detto che sarà sicuramente italiano e l’altra bacchetta in ballottaggio è quella di Daniele Gatti. Cosa può dire? «Rimaniamo a Brahms» taglia corto con un sorriso. Restiamo allora al compositore tedesco. Perché Chailly in questi giorni pubblica, con la storica etichetta Decca, le Sinfonie di Johannes Brahms. Le propone con la sua orchestra, il Gewandhaus di Lipsia che guiderà – ha da poco rinnovato il contratto – sino al 2020. «Per me quello a Brahms – racconta – è un ritorno e nello stesso tempo un traguardo. Già vent’anni fa, ma con il Concertgebouw di Amsterdam, avevo inciso le Quattro sinfonie. Da allora, con tutte le orchestre che ho diretto, le ho sempre eseguite. E molto».Un continuo ritorno, ma anche un punto di arrivo «perché ogni volta, conoscendo sempre meglio l’aspetto musicale delle partiture, ho avuto modo di affinare la mia linea interpretativa». È successo anche questa volta «avendo la fortuna di avere a disposizione il colore scuro e romantico dell’orchestra del Gewandhaus, che da sempre ha sui suoi leggii le Sinfonie di Brahms». E come è cambiata nel tempo la lettura delle quattro partiture? «Brahms – spiega Chailly – ha sempre avuto bisogno di una grande flessibilità: lo diceva lui stesso. Ma questo aspetto, nel tempo, ha portato a offuscamenti interpretativi che hanno schiacciato il rigore della forma. Con questa incisione abbiamo voluto tornare a questa intuizione, alla necessità di unire flessibilità e rigore, che già aveva avuto Arturo Toscanini». Un punto di arrivo che diventa anche un punto di partenza. «In questi giorni stiamo eseguendo le Sinfonie a Lipsia, affiancandole ai due Concerti per pianoforte, a quello per violino e al Doppio concerto – racconta il maestro dalla cittadina tedesca –. Porteremo poi questi programmi in tournée a Londra, Parigi e Vienna». Niente Italia, però, perché «noi programmiamo le tournée con anni di anticipo, ma i teatri italiani navigano a vista di anno in anno».Questi appuntamenti «per me, direttore musicale di un’orchestra come quella del Gewandhaus, sono una responsabilità imprescindibile per far conoscere a più persone possibili percorsi che per noi segnano un’epoca. Per dire che la più antica orchestra d’Europa non si ferma sulla sua routine, ma continua a studiare e a rinnovare la sua linea interpretativa». Tanto più che il legame tra Brahms e Lipsia fu molto stretto «dopo i dubbi per il suo <+corsivo>Primo concerto<+tondo> per pianoforte limitati, però, alla validità di Brahms come interprete e non come compositore, la città vide la prima esecuzione del suo Requiem tedesco».Nel cofanetto Chailly propone anche pagine inedite: «Brahms spesso aveva pensato a versioni diverse di alcuni movimenti, come l’Andante della Prima sinfonia. E una scoperta interessante sono stati i Liebeslieder walzer: tolte le parole la musica assume un fascino tutto particolare». Scoperte che fanno dire a Chailly che «non ci si abitua mai alla grandezza del genio. Per questo oggi è più che mai necessario eseguire e fare ascoltare Brahms».
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