giovedì 31 marzo 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
«Prima di dare un giudizio sulla pratica, prima di capire se la Stimolazione transcranica con correnti dirette ( Tdcs) possa davvero alterare il risultato di una competizione, terrei le bocce ferme in attesa di verificare altri studi. Stanno uscendo dati forti da diversi lavori. L’argomento è di grande interesse, ma siamo ancora agli inizi». Paola Cesari, professore associato presso il dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’Università di Verona, ha la pazienza dello scienziato, non cerca immediate conclusioni. Nel 2008, assieme ai colleghi Salvatore Maria Aglioti, Michela Romani e Cosimo Urgesi, pubblicò su “Nature Neuroscience” uno studio relativo ai risultati della Stimolazione magnetica transcranica ( Tms) per investigare le dinamiche di anticipazione e predizione sull’esito di un tiro libero da parte di giocatori di pallacanestro: fu uno dei primi studi che ha mostrato una forte correlazione fra attivazione neurale e performance negli atleti di élite. «Utilizzammo una tecnologia diversa rispetto a quella che ha testato la Federazione sciistica statunitense, ma il nostro obiettivo era differente: ci interessava capire se i cervelli degli atleti fossero più reattivi e attivi nel prevedere il risultato di una propria azione». Cosa avete verificato? «Oggi sappiamo che il cervello degli sportivi è più attento ed esperto: prevede, simula internamente la cinematica dei corpi, legge la cinematica del corpo: articolazioni che si aprono e si chiudono in sinergie complesse». Come valuta i test di Ussa e Halo Neuroscience? «Credo che ci sia ancora tanto da vedere e da capire. La letteratura in merito inizia ad essere significativa, ma i dati sono variegati. Molto poi dipende dalla fase stimolare, dalla sua intensità e se avviene prima, durante o dopo la prestazione». I dati in loro possesso sostengono che le performance migliorino in maniera sostanziale. «Altri studi dimostrano però come la Tdcs non provochi sostanziali cambiamenti a livello di reazione dei muscoli motori su alcuni movimenti specifici. La Tdcs sembra invece molto appetibile se applicata in fisioterapia». In questo caso, ci sono un’azienda e una federazione sportiva che lavorano in sinergia alla ricerca di un risultato. È giusto applicare la Tdcs a soggetti sani per migliorarne il rendimento sportivo? «Dal punto di vista degli effetti collaterali, allo stato attuale degli studi non ve ne sono di riconoscibili, se consideriamo stimolazioni di una certa intensità e tempistica. In questo senso, sino a quando non intervengono controindicazioni, deve prevalere la libertà di utilizzo. Ma allo stesso tempo dobbiamo anche dire che non abbiamo ancora certezze sull’effettiva capacità di miglioramento sulla performance sportiva». Si va verso un futuro di atleti-robot in pista con cuffie ed elettrodi? «Credo piuttosto che si debba allenare il cervello». In che modo? «Le ricerche dimostrano come un atleta non migliori solo, per dire, correndo. Ma anche osservando, rispondendo a precisi stimoli context dependent, perché il cervello degli atleti è specializzato per capire e prevedere le situazioni. E sono già diversi i preparatori che allenano questa fase». Lorenzo Longhi © RIPRODUZIONE RISERVATA Paola Cesari
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: