venerdì 18 maggio 2018
Carmelitano scalzo originario di Cuneo, da oltre vent’anni testimone indomito nel Continente Nero, ha raccolto in un libro la sua quotidianità in un Paese dilaniato dalla guerra civile
I bambini della scuola elementare di Bozoum (Centrafrica)

I bambini della scuola elementare di Bozoum (Centrafrica)

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Lontano dai riflettori mediatici ci sono ancora uomini per cui è difficile non provare una sincera e contagiosa ammirazione. Aurelio Gazzera, carmelitano scalzo, fa parte di quella schiera di testimoni indomiti – e spesso purtroppo invisibili – di una vita davvero piena e felice. Originario di Cuneo, 56 anni di cui quasi la metà trascorsi nell’adorata Africa, padre Aurelio è un uomo dal cuore impavido. Perché bisogna essere per forza temerari nel lasciare tutto e sfidare ogni giorno le pallottole dei ribelli, le violenze e i saccheggi, la malaria, l’Aids o i parassiti. Questa è la realtà del suo Centrafrica, paese dilaniato dalla guerra civile e segnato dalla povertà che lo relega al quartultimo posto al mondo. Ma niente vale di più del sorriso di un bimbo o della pace della sua gente lì a Bozoum, a due passi dall’Equatore. E il caldo non è nulla rispetto al fuoco che gli brucia dentro, alimentato da quella Parola che da duemila anni scotta ancora: «Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo», disse Gesù di Nazaret. Non poteva allora che intitolarsi Coraggio (Editore Salinzucca, pagine 330, euro 18) il libro che raccoglie dieci anni di post del suo seguitissimo blog http://bozoum.blogspot.it/ in sette lingue.

Il ricavato delle vendite del volume (che padre Aurelio, in questi in giorni in Italia, presenterà a Como il 22 maggio - Centro Pastorale Cardinal Ferrari, ore 20.45 - e a Milano il 25 maggio - Circolo Feltre ore 21.15) andrà a uno dei tanti frutti della sua missione: la Scuola Media- Liceo «Saint Augustin - Lino » intitolata a Lino Giaquinto, giornalista di Avvenire scomparso improvvisamente a soli quarant’anni. Qui studiano oggi 270 alunni, grazie al sostegno dei genitori di Lino, in collaborazione con Avvenire e i padri missionari del Santuario di Gesù Bambino di Praga di Arenzano (Genova). Significativo anche il sottotitolo: «Bisogna dare battaglia perché Dio conceda vittoria». È una frase di Giovanna d’Arco di risposta a un giudice che le chiedeva perché mai Dio dovesse servirsi del suo aiuto per vincere dal momento che è Onnipotente. Padre Aurelio dall’alto dei suoi 190 centimetri di altezza non si è mai tirato indietro. La sveglia suona presto: dopo le Lodi alle 5 di mattina non c’è un attimo di tregua. Oltre alla parrocchia e alle scuole, c’è da badare al centro per 230 orfani, al dispensario in cui è stato creato anche uno studio dentistico, all’ufficio che coordina le attività agricole tra cui una straordinaria Fiera annuale, e anche a una piccola Cassa di risparmio.

Quando l’energia elettrica lo consente può dedicarsi anche al blog con cui lo seguiamo giorno dopo giorno mentre intima ai ribelli di posare le armi, (è stato soprannominato «L’uomo che piega i fucili») o mentre piange e conforta il suo popolo dopo la scomparsa di una ragazza in seguito a un tentativo di aborto. Il libro (di cui pubblichiamo qui sotto uno stralcio) è un diario giornaliero schietto e in presa diretta dell’Africa vera, così diversa dagli appelli dell’Onu o anche dai ritratti fuorvianti di alcune Ong. È scritto da chi ama davvero il Sud del mondo, senza ideologie o facili slogan, ed è pronto a perdere anche la vita nel nome di Cristo. Non a caso quella del Centrafrica è una Chiesa di martiri. Una fede ardente che contrasta con l’indifferenza (e spesso l’ostilità religiosa dell’Occidente) e anche con la nostra tiepidezza. «In Africa - dice lui - ho scoperto quanto Dio mi ama, e quanto ama l’uomo. Mi alzo tutte le mattine con la voglia di ringraziare. Perché se do da mangiare a qualcuno che ha fame, è già qualcosa. Ma se posso dargli il Cibo vero, Gesù, io gli do tutto! Ed è un privilegio più grande di ogni fatica».




«Oltre la paura per far sentire a tutti la carezza del Nazareno»

Giovedì 4 aprile 2013

Il giorno di Pasqua mi ha telefonato un mio cugino, e mi ha detto (rigorosamente in piemontese): Fate nen masè, pitost ven via (non farti ammazzare, piuttosto vieni via). Io gli ho risposto che era tutto tranquillo, anche se non lo era… Quando un Paese è in una situazione come il Centrafrica, tutto può succedere. La ribellione ha conquistato una città dopo l’altra e dappertutto si è ripetuto lo scempio dei saccheggi e della distruzione. Quando c’è agitazione, i primi a scappare sono le autorità civili e quelle militari. Gli stessi che fino a ieri facevano i prepotenti e i gradassi con i deboli, oggi si fanno piccoli e invisibili. Via i medici, via gli infermieri, via gli insegnanti. In breve la città è rimasta sguarnita. Un silenzio irreale, e tutti in attesa del peggio. Ogni rumore è sospetto: una moto mette paura, un cane che abbaia, cosa sarà? Circolano le notizie: i ribelli sono qui, sono là, hanno fatto questo e quest’altro. Cercano padre Aurelio, cercano la macchina. Poi iniziano gli spari. Il cuore prende a battere incontrollato, mal di stomaco, mal di pancia, è come se il corpo cedesse alla paura, mentre la testa tenta di ragionare anche se non sempre ce la fa. E quando la situazione si fa più difficile e ti rendi conto di essere tra le poche “personalità” rimaste ti chiedi perché. Perché la gente ha bisogno di un Padre, di una Madre, di una Sorella. Anche se non fai niente, già solo il fatto di esserci, dà speranza e aiuta. È come stare vicino a un ammalato, o a un bambino che dorme. Sa che ci sei. E la tua presenza è anche il Segno di un’Altra Presenza. Perché sai che se te ne vai, quello che hai costruito in tanti anni rischia di essere distrutto: scuole, ospedali, cooperative agricole, la Cassa di Risparmio. Tutto può essere distrutto in poco tempo. E temi che non ci sarà più la forza e i mezzi per riprendere da capo. Non ti interessa perché l’hai fatto tu, ma perché in tutto questo c’è il lavoro fatto con la gente, l’educazione e la formazione che vedi crescere molto lentamente e che rischia di essere bloccata definitivamente. Perché sai che Lui è sempre al tuo fianco, anche quando la barca sembra essere sul punto di affogare. Perché ogni tanto arriva un uomo, arriva una donna, che ti dice: Grazie perché rimanete! O un bambino, che è potuto venire nella tua scuola nonostante tutto, ti guarda e ti sorride. Allora anche tu, nonostante la paura, il mal di pancia, le notti mezze passate in bianco, capisci che stai facendo qualcosa di bello e di importante: stai dando la carezza del Nazareno a quanti ne hanno più bisogno! Coraggio? Un po’, ma pieno di tanta paura. Ma anche della Presenza di Qualcuno che non ci abbandona mai! (Aurelio Gazzera)

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