domenica 17 novembre 2019
Il poeta olandese: «Negli ultimi anni noi europei ci siamo guardati l’un con l’altro, abbiamo discusso dando anche giudizi, giusti o sbagliati Ma abbiamo sempre mantenuto una finestra aperta»
Lo scrittore olandese Cees Nooteboom (Giorgio Boato)

Lo scrittore olandese Cees Nooteboom (Giorgio Boato)

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I rapporti tra la poesia e la botanica sono numerosi e trasversali. Innanzitutto c’è il potere nominalistico, la melodia del nome, che vibra nell’orecchio di chi sa cogliere analogie profonde. C’è poi la bellezza estetica e la funzione metaforica che assume la pianta, simbolo di qualcosa che affascina il poeta e gli concede possibilità di creare un’allegoria con quanto egli intende dire. La ginestra per Leopardi, i licheni per Sbarbaro, i limoni per Montale, l’«òlea fragrante» per Sereni, la magnolia per Fortini, l’anemone per Jaccottet e via dicendo.

Anche Cees Nooteboom, autore olandese tra i grandi maestri della letteratura europea, ha la sua pianta prediletta: il cactus, con le foglie «verdi e massicce forme ovali cosparse di piccoli aculei», come spiega nel suo 533. Il libro dei giorni (traduzione di Fulvio Ferrari, Iperborea, pagine 256, euro 16,50), un diario minuzioso di letture coltissime, riflessioni, ricordi, viaggi e immagini ricorrenti che accompagnano la vita di uno scrittore per 533 giorni.

Situati nella sua casa sulle Baleari, i cactus sono l’emblema di una resistenza umanistica contro le avversità del presente e assumono senz’altro un valore e un effetto metafisico. Ma la dimensione ulteriore è presente anche nell’opera in versi: L’occhio del monaco, uscito quest’anno per Einaudi (traduzione di Fulvio Ferrari, pagine 88, euro 10), è l’incessante ripetizione del sogno in luoghi veri e trasfigurati, tra angeli, conigli, parenti perduti e il riflesso del faro, a testimoniare ancora l’attenzione di Nooteboom per la luce (del 2016 era la raccolta di liriche Luce ovunque, sempre per Einaudi).

Insomma, quale forza atavica la lega a Minorca e ai cactus nel suo giardino?

«La mia casa è in un punto protetto dell’isola, circondata com’è dai caratteristici muretti a secco in pietra. Il mare non è molto vicino, d’altra parte resto, spesso, qui a lavorare. Il mio studio dà sul giardino e i cactus sono là in fila, di diverse dimensioni e tipologie. Proprio stamattina stavo ascoltando il compositore italiano Luigi Nono e ho pensato che probabilmente loro apprezzerebbero la sua musica. Il cactus non è il tipo di pianta che andrebbe a ballare, cioè non si scatenerebbe in discoteca, ma gradirebbe il forte silenzio della musica - è un ossimoro, certo - di Nono. Sono a Minorca una volta ogni tre mesi all’incirca: i cactus, però, hanno bisogno di poca acqua, quindi anche se io non ci sono, essi non muoiono. Quando a ottobre torno in Olanda, in Germania o negli Stati Uniti e cominciano tempeste e maltempo, guardando fuori alla finestra la prima cosa che mi viene in mente sono i cactus. Sono in ansia per loro. E immagino che essi mi rispondano: “Perché ti preoccupi per noi? Stiamo bene, siamo forti, non abbiamo bisogno di cure”. La Spagna per me non è soltanto una meta turistica. In tutto il Mediterraneo ci sono tante isole meravigliose, ma Minorca è particolarmente ricca di storia, civiltà e di una grande varietà culturale. Il legame che ho con quest’isola è forse misterioso».

A proposito di mistero: sempre in 553. Il libro dei giorni, facendo riferimento agli ultimi versi della Commedia, lei afferma che sembrano essere «scritti di luce»...

«Dante è fondamentale, è un autore al quale bisogna sempre tornare in letteratura. Un mio amico americano, studioso di poesia medievale, mi ha recentemente inviato una lettera di esegesi su L’occhio del monaco, sottolineando la mia perseverante dipendenza dal poeta fiorentino. La silloge è costituita, non a caso, da trentatré poesie. È un numero che ai dantisti dice qualcosa. Nelle ultime righe della sua lettera il mio amico ha messo in rilievo come nelle liriche si avverta una vera e propria “atmosfera dantesca”, legata in particolare alla percezione della luce. In tanti anni di studio ho segnato, a margine dei libri di Dante, moltissimi appunti sulla poetica della luce. Ho letto la Commedia in due edizioni: quella inglese e quella olandese, scritta in una lingua più antica, molto affascinante, con le glosse in italiano che mi hanno aiutato a comprendere meglio il significato profondo del testo».

Nel volume cita anche una frase di Borges secondo cui «Tacito non comprese la Crocifissione, sebbene il suo libro la registri». Cosa ci sfugge nella storia attuale?

«Ho letto una biografia su Mussolini, un libro sul fascismo in Italia, conosco bene la situazione politica oggi da voi, con Salvini eccetera. Ma invertiamo un po’ la domanda: cosa non ci sfugge in questo momento storico? Nonostante sia abbastanza informato sui fatti, non vorrei entrare nel merito del discorso in termini prettamente politici, perché la politica è assai lontana dalla mia sensibilità di scrittore. Riflettiamo, però, sulle cose che sono sotto gli occhi di tutti... Sono stato spesso negli Stati Uniti, in America Latina, Italia, Ungheria, Iran e ovunque ho visto politici che tentavano di abbindolare la gente. Quando ero giovane, avevo anche delle posizioni politiche abbastanza forti, ma ora che sono invecchiato, esse si sono affievolite e sono però aumentate la consapevolezza e l’attenzione. Ho compreso che non si può giudicare troppo velocemente senza avere ben chiara la situazione. Oggi ascolto la radio, leggo i giornali, ma guardo gli avvenimenti storici da una prospettiva diversa da quella che avrei avuto qualche anno fa».

Il viaggio è il tema par excellence della sua scrittura...

«Ho viaggiato tutta la vita e le esperienze all’estero tornano sempre nei miei scritti. È uscito recentemente, ad esempio, Cerchi infiniti (Iperborea, 2017), libro sui miei viaggi in Giappone, dove ho trascorso felicemente parte della mia esistenza. Sono stato in parecchie circostanze anche a Venezia: la prima volta nel 1974. Di questa città ho scritto nella raccolta di racconti Le volpi vengono di notte (Iperborea, 2010), nella quale entro in contatto anche con la Liguria montaliana e, in generale, con la cultura mediterranea. Per inciso: leggo spesso i giornali italiani e capisco molto, non tutto per la verità. Ma quando poi provo a parlare italiano, viene sempre fuori lo spagnolo...»

Con quale forma di scrittura si sente maggiormente a suo agio?

«La poesia non chiede se può entrare: entra e butta giù tutte le porte. In essa registro una tipologia assai dissimile e, forse, inimitabile di scrittura. Ho scritto anche in prosa: romanzi, diari di viaggio. Credo sia significativa la distinzione segnalata da un mio amico olandese che compone racconti, poesie e reportage: è necessario disporre, secondo lui, di tre differenti “ink-box”. Per ogni genere di scrittura consiglia di utilizzare, cioè, una penna diversa e un inchiostro diverso, perché sa benissimo che sono mestieri completamente inconciliabili fra loro».

Quale destino vede per l’Europa?

«Non così buio come sembra. La cosa più importante e che va senz’altro preservata è la differenza di cultura e costumi in Europa. Siamo diversi per lingua e modi di pensiero, ma siamo legati tutti dallo stesso destino, dalla stessa storia. Sebbene gli Stati abbiano tradizioni variegate anche di paese in paese, c’è ancora qualcuno del nord che sente il desiderio di andare al mare nel Sud Europa. E, al contempo, quest’anno ho visto ad Amsterdam tantissimi italiani. Ciò significa che c’è ancora volontà di scambio e voglia di scoprire nuovi luoghi all’interno dell’Unione Europea. Negli ultimi anni noi europei ci siamo guardati l’un con l’altro, abbiamo inseguito reciproche figure politiche, abbiamo discusso sul loro lavoro, dando anche giudizi giusti o sbagliati. Ma abbiamo fatto ciò mantenendo sempre una finestra aperta, non restando chiusi e recintati nel nostro orticello. Abbiamo gli occhi fissi, inoltre, sugli Stati Uniti, la Cina e altre potenze. È importante, perciò, che l’Europa sia unita e rafforzi la sua posizione».

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