sabato 14 novembre 2015
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Tra le miserie e gli splendori del calcio, spunta anche la nobiltà, quella conquistata sul campo dal “Barone”, Franco Causio. La vita della grande ala destra sta tutta dentro un libro appena scritto (con Italo Cucci) e che per titolo reca una massima bonipertiana: Vincere è l’unica cosa che conta (Sperling&Kupfer). Sottotitolo: “Bianconero da una vita”. Sottoscrive il messaggio che intende lanciare a quei «milioni di tifosi della Vecchia Signora»? «E come non potrei? L’uomo che sono diventato lo devo tutto alla Juventus. Undici anni, quasi 450 partite (72 gol) 6 scudetti, la prima coppa europea nella storia juventina, la conquista della Uefa del 1977 a Bilbao. Poi quando Trapattoni decise che ero “vecchio” per i suoi piani, ho giocato ancora altri sette anni, di cui tre alla grande indossando il bianconero dell’Udinese». Il Causio “friulano” a 33 anni infatti viene convocato dal “Vecio” al Mundial dell’82, e lo vince. «Non smetterò mai di essere grato a quel “capofamiglia” di Enzo Bearzot, il papà di 22 granatieri che, tra silenzi stampa, milioni di critiche e difficoltà, alla fine trionfarono alla “guerra” di Spagna. “Bea” mi fece giocare il 2° tempo con il Perù e poi per farmi capire quanto avevo dato alla Nazionale - sono stato azzurro dal 1971 all’83 - negli ultimi istanti della finale con la Germania richiamò Altobelli e mi regalò l’emozione di sentirmi campione del mondo in campo». L’altra grande emozione nazionalpopolare fu la partita a scopone sull’aereo di ritorno da Madrid: la sfida tra lei, Zoff, Bearzot e il presidente Pertini. «Continuo ad amare e considerare Bearzot e Pertini come persone di famiglia. Non potrò mai dimenticare quella volta che Pertini in visita presidenziale a Udine mi mandò a cercare allo stadio Friuli dai carabinieri che mi scortarono in prefettura... Il Presidente mi aspettava per abbracciarmi e trascorrere un’intera giornata assieme al suo “amico Causio”. Ho i brividi se ci ripenso». A proposito di amicizia, nel calcio chi è stato il suo amico del cuore?  «Una delle cose tristi di questo mondo dorato del pallone è che tanti finché sei sulla cresta dell’onda si fingono tuoi amici, ma una volta che smetti, di colpo si richiudono tutte le porte che fino al giorno prima si spalancavano con tanto di tappeto rosso. Mi consolo con l’aver giocato con e contro i grandi. Ho avuto Platini e Zico per compagni; Cruijff, Falcao, e il più grande di tutti, Maradona, come avversari e non ho mai sfigurato, anzi...». Per l’aedo di “Tuttosport”, Vladimiro Caminiti, lei è stato “Brazil”. Poi nell’82 scrissero che il più brasiliano degli azzurri era Bruno Conti. Sia sincero: più forte Causio o Conti? «Che domande, il migliore “c’est moi” - sorride - . Non lo dico io, ma la storia, la più lunga militanza in azzurro, i trofei vinti. Bruno Conti è stato un grande, così come Claudio Sala, ma il più forte rimane Causio». È quello che pensava anche l’Avvocato, Gianni Agnelli, che lo volle fortemente alla Juventus. «Grazie alla stima dell’Avvocato potei anche “ammutinarmi” con il presidente Giampiero Boniperti che appena arrivato mi intimò: “Tagliati subito i capelli”. L’Avvocato gli disse di lasciarmi stare che avevo una bella testa folta e così oltre a tenere i capelli lunghi mi feci crescere anche i baffi». Il suo compagno Dino Zoff non lo avrebbe mai fatto, ma in compenso ha detto «no» al premier Silvio Berlusconi: dopo gli Europei del 2000 si dimise da ct della Nazionale. «E fece bene. Zoff, come tutti quelli della nostra Juve, è un uomo di grande personalità, uno con la schiena dritta. Con quel gesto fece capire a Berlusconi e all’Italia intera, “a ciascuno il suo ruolo”. Peccato però, perché quell’Europeo la Nazionale ce l’aveva in pugno, poi ci fu il maledetto golden-gol di Trezeguet, non a caso uno juventino... ». Trezeguet accettò di scendere in B con la Juve nel 2006. Come visse lo scandalo di Calciopoli? «Il vero scandalo è stato accettare che la Juve finisse in B. Quella stagione con Pierluigi Pardo al sabato era triste commentare per Sky Albino-Leffe-Juventus, mi sembrava di vivere un incubo. La dirigenza di allora forse poteva fare qualcosa di più per salvare la società da quella che considero una grave ingiustizia. Sul campo la Juve era nettamente più forte e ha ragione Andrea Agnelli quando dice che gli scudetti conquistati sul campo non si toccano». Il più grande genio che ha incontrato nel mondo del calcio?«Torniamo all’Avvocato. Gianni Agnelli applicò la geopolitica al calcio. Con me leccese, Furino palermitano, Cuccureddu sardo e Anastasi catanese, più la faccia da “Gheddafi” di Claudio Gentile, costruì una Juventus meridionale per fidelizzare gli operai della Fiat, gli emigranti saliti a Torino con la valigia di cartone. Quello era il nostro popolo, la spinta in più che ci rese invincibili». Le basi di quella squadra, poi ereditata dal Trap, le aveva gettate una creatura dell’Inter di Helenio Herrera, Armando Picchi, la cui fine precoce, a 39 anni, rientra tra le morti “misteriose” del pallone. «A Picchi devo la mia vita in bianconero. Mi fece tornare alla Juve dopo i prestiti alla Reggina e al Palermo e quando mi gettò nella mischia mi disse “Vai in campo “Maestro” e gioca come sai... E ricorda, io ho dato del “Maestro” soltanto a Mariolino Corso”. La sua morte? Non so se è dipesa dai caffè con la pasticca che dava Herrera all’Inter... Io so solo che oggi Picchi avrebbe 80 anni e forse avrebbe smesso da poco di essere un grandissimo allenatore». Chi dei due tra l’ex tecnico bianconero Antonio Conte e l’attuale, Max Allegri, avrebbe giocato titolare nella sua Juve? «Nessuno dei due... - ride - Come potevi togliere da quel centrocampo Furino, Benetti, Tardelli o davanti il sottoscritto e Bettega? Sarebbero andati dove stanno adesso, in panchina. Lì hanno dimostrato di saperci fare, Conte è un gran ct. Allegri riuscirà a far vincere alla Juve il quinto scudetto di fila? Si gioca tutto da qui a Natale, vediamo...». Dica la verità, quanto le piace il nostro calcio? «Poco, lo guardo distrattamente e faccio fatica a commentarlo. Trovo che sia brutto, un po’ lo specchio del sistema che a sua volta è la copia della società in cui viviamo». La prego “Barone”, non lasciamoci così, lanci un messaggio di speranza ai giovani... «Lo trovano alla fine del mio libro in cui ho scritto: “Il passato è passato. Fanne tesoro e lascialo andare. Quando avrai cessato di rimuginare e sarai calato nel momento presente, allora comincerai a provare gioia nella vita”».
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