sabato 4 dicembre 2010
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Progetto. Il progetto che ci dovrebbe essere e il progetto che manca. Nei quattro interventi di ieri sera al Forum la parola «progetto» non è quasi nemmeno mai stata pronunciata, ma è stato il concetto che ha impregnato ognuno dei ragionamenti messi in campo dai partecipanti alla tavola rotonda che, appunto, si è svolta sul tema: «Nei 150 anni di unità d’Italia, tradizione e progetto». E se per Giuliano Amato, che è il presidente del Comitato dei garanti per la celebrazione del 150° il progetto è nella capacità di aprirsi al futuro; per Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, il progetto lo si può trovare in quella che lui ha definito «la ragione sociale della Chiesa cattolica», cioè il suo essere universale e romana insieme.Una Chiesa che, secondo il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, dovrebbe forse incominciare a chiedersi quale sia il suo progetto per l’Italia, cioè «di quale Chiesa c’è bisogno per ricostruire questo Paese»; mentre per Dino Boffo, direttore di Tv 2000, così come non ci si può in alcun modo stupire del fatto che la storia e la cultura dell’Italia e degli italiani sia intrisa da 2.000 anni di comune sentire cattolico, si deve anche essere coscienti del fatto che «le società nel loro progredire hanno sempre più bisogno di inserire al loro interno contenuti etici forti e vincolanti per essere in grado di disciplinare la potenza di economie e di tecniche onnipotenti». Allo stesso tempo per l’ex direttore di Avvenire, «i credenti continuano a pensare che la cosa principale che devono al Paese è anzitutto una vita di fede autentica, interferente con le varie forme culturali, eppure genuina, umile e coraggiosa, in quanto ragionevole garanzia offerta a tutti, potenzialmente anche a chi sembra non gradire, di un umanesimo meno consunto e sbrindellato» di quello che viene comunemente proposto dal mondo secolarizzato. In questo senso «si illude chi non vede come il secolarismo destabilizzi l’intero edificio sociale, svuotando dal di dentro i pilastri portanti delle società che si ritengono evolute ed emancipate». Una catastrofe che, sempre restando a Boffo, può essere evitata se il nostro Paese comincerà ad accettarsi per quello che è, con le sue immense potenzialità generate proprio dalla sua storia e dalla sua civiltà, «secondo quella parabola di accettazione di se stesso che ogni individuo affronta nel proprio cammino verso la maturità». Per tutti gli intervenuti, del resto, non ci sono dubbi sul fatto che senza la Chiesa, l’Italia non può nemmeno pensare di costruire un futuro. Purtroppo, ha sottolineato Caracciolo, la grande risorsa di avere sul nostro territorio un punto di riferimento mondiale come il Vaticano, con tutto il suo patrimonio di conoscenze e relazioni, non è mai stata sfruttata in termini di crescita e di presenza internazionale. Senza considerare che «la Chiesa risulta essere l’unica organizzazione internazionale che utilizza l’Italiano come lingua franca per le sue comunicazioni interne». Sia Caracciolo che Amato si sono poi intrattenuti sul concetto di futuro. Qualunque tipo di progetto lo si fa per il futuro, ma per entrambi sembra che il futuro sia uscito dal panorama di riferimento dei nostri politici e dei nostri opinion maker. Secondo il direttore di Limes perché «progettare per il futuro implica la conoscenza di appartenere al mondo, che nelle nostre élites è venuta a mancare. Ormai non c’è più un congresso di partito, per fare un esempio, in cui ci siano riferimenti alla situazione internazionale. I riferimenti della nostra politica sono esclusivamente nazionali e sempre più spesso localistici». Per l’ex presidente del Consiglio, invece, «a tenere unito un Paese non sono tanto i riferimenti a un passato comune, quanto e soprattutto la progettualità per il futuro, l’essere pronti a fare sacrifici per il domani. Così che il futuro sia virtuoso e non solo presentificato nella soddisfazione delle esigenze personali. Una propensione al futuro in cui la religione, la fede della Chiesa cattolica è una componente essenziale, sempre che, finalmente, si superi e si accantoni definitivamente la separazione fra cittadino e credente». Amato si dice convinto del fatto che «un cittadino senza fede rischia di mettere a repentaglio i principi liberali dello Stato», mentre «la religione riempie di un propellente essenziale la sfera pubblica». Resta la domanda sollevata da Giuliano Ferrara su quale sia la Chiesa di cui ha bisogno l’Italia, alla quale nei fatti il Progetto Culturale è chiamato a rispondere. Lui, Ferrara, intanto si è dato una risposta proponendo come modello «la Chiesa che continua a esercitare lo spirito critico, che non cessa di essere pedagogica, incalzante, culturalmente viva e provocatrice sui grandi temi dell’umanità».
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