lunedì 26 agosto 2013
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Da quarant’anni un conflitto che ha provocato centoventimila vittime segna quotidianità e destino delle regioni meridionali delle Filippine. In un contesto di violenza dilagante e con poca volontà di confronto sincero, per lungo tempo anche la sola speranza di pace è sembrata utopia. C’è tuttavia chi ha creduto nel dialogo e sulla distanza può raccogliere i frutti di questo impegno. Magari anche sotto forma di un riconoscimento che arriva inaspettato e da lontano. Il movimento per il dialogo islamo-cristiano Silsilah (in arabo: catena, legame) è stato insignito di recente del premio Goi per la pace 2013 per «i molti anni di impegno illimitato per promuovere il dialogo e la solidarietà tra musulmani e cristiani nelle Filippine». Un segno importante, quello arrivato dal Giappone, a sostenere il non facile cammino dell’esperienza avviata nel 1984 da padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere) a Zamboanga, isola di Mindanao. Benvenuto, tuttavia perché, come ricorda il fondatore, riconosce il «merito di tanti che hanno creduto e credono in questo cammino». Il premio verrà consegnato il prossimo 27 novembre a Tokyo. Oggi il conflitto tra ribelli musulmani e forze armate governative sembra fare finalmente presa, nonostante le difficoltà. Come Silsilah percepisce il suo ruolo? «Ci stiamo preparando a celebrare il nostro trentesimo anniversario, il 9 maggio 2014, seguendo il tema “Insieme dobbiamo camminare e sognare – ogni giorno della nostra vita – guidati dalla speranza”. Questo è il testamento spirituale che ci ha lasciato Marilou Diaz Abaya, morta l’8 ottobre del 2012, che ci ha aiutato ad avviare il nostro centro media per il dialogo e la pace – dice padre D’Ambra –. Il nostro motto è padayon (“andiamo avanti”). È un impegno che abbiamo preso in modo solenne, cristiani e musulmani insieme, di fronte alla bara di padre Salvatore Carzedda nel 1992. Lui è per noi e per molti un esempio di missionario che ha creduto alla missione di Silsilah e per questo è stato ucciso da quanti vorrebbero fermare il dialogo». Il confronto con l’islam, che altrove sembra un esercizio di credulità o di intellettualismo, è per padre D’Ambra e per molti altri nel meridione filippino insieme volontà e necessità di vita. Partendo dall’esperienza di Silsilah su quali basi l’incontro diventa possibile? «Il mondo si avvia verso una sintesi della storia – ricorda il missionario italiano – e noi siamo chiamati a dare una risposta. L’islam sta facendo un cammino che ricalca a grandi linee quello del cristianesimo, con le sue luci e ombre. Oggi ricorda al mondo la centralità di Dio, anche se questo avviene con tante contraddizioni. Partendo da questa premessa l’incontro con l’islam è urgente oggi più che mai, ma deve essere fatto con lo stile di Dio che è amore, solidarietà, riconciliazione e speranza. Non è stato facile in questi anni portare avanti questo aspetto del dialogo. Molti, preoccupati delle situazioni di conflitto vorrebbero risposte immediate senza accettare questo cammino». «In passato – ricorda ancora il fondatore di Silsilah – i militari hanno cercato di eliminarmi, quando sono stato chiamato a fare da mediatore tra un gruppo ribelle e il governo, e ancora oggi alcuni gruppi più radicali cercano di ostacolare il nostro cammino. I leader più rispettati tra i cristiani e i musulmani, tuttavia, restano dalla nostra parte. I vescovi, da parte loro, ci hanno sempre incoraggiato e io sono stato per tanti anni il segretario nazionale per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale filippina e anche adesso spesso i vescovi m’invitano e chiedono la nostra collaborazione». Negli anni del conflitto aperto, e anche successivamente, si è creato un solco profondo di rivalità, insofferenza e sfiducia tra le comunità cristiana e musulmana.
In un tale contesto, che è anche di frustrazione e rabbia per le tante necessità senza soluzione, come si può parlare di pace e di riconciliazione? «Ricordo che a una conferenza internazionale sull’Asia a Francoforte, sono stato invitato a parlare delle Filippine e specialmente del nostro impegno. Quando ho presentato alcuni punti di tensione ancora presenti mi è stato chiesto: “Allora, a che cosa è servito il vostro dialogo?”. La mia risposta – ricorda padre D’Ambra – è stata: “Forse senza di noi la situazione sarebbe ancora più tesa”. Non mi riferivo solo a Silsilah, perché noi collaboriamo con tanti che sono impegnati nella stessa missione». Un esempio concreto? «Il 15 ottobre 2012 sono stato invitato a Manila alla firma di un documento tra il presidente Aquino e i rappresentanti del Fronte islamico di liberazione Moro (Milf) che ha avviato il confronto sul trattato chiamato Accordo sul Bangsamoro, per l’autonomia di alcune zone di Mindanao di tradizione musulmana. Sappiamo – conferma ancora il missionario del Pime – che il trattato è solo un accordo sui punti essenziali e che avrà ostacoli lungo il cammino, ma siamo aperti a sostenere questa ulteriore speranza di pace».
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