venerdì 11 novembre 2011
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Giorgio quando non giocava, andava all’Olimpico a seguire la sua Roma, in cui giocava Antonio Cassano. «Giorgio stravedeva per Francesco Totti, ma il suo vero idolo era Simone Perrotta», ricorda suo padre. Sono passati già cinque anni, era il 24 febbraio del 2006, da quando Giorgio Castelli, il “Perrotta” del Real Tor Sapienza, terminò la sua partita su questa terra, a soli 16 anni. Un arresto cardiocircolatorio in mezzo al campo, davanti agli occhi sgomenti del suo gemello Alessio e del fratello Valerio che tentarono disperatamente di rianimarlo. Così si consumò una delle tante tragedie che purtroppo ancora oggi si verificano nei campetti di periferia. Ma la stella di Giorgio non è caduta in vano, perché il papà, il dottor Enzo Castelli, per evitare che la striscia luttuosa di giovani calciatori come suo figlio diventasse infinita, ha messo in piedi con l’appoggio della famiglia e dei tanti amici, una grande squadra: la Fondazione Giorgio Castelli. Oggi questa è la compagine più esperta ed agguerrita in Italia, per quanto concerne la sensibilizzazione e i corsi di addestramento di volontari nella rianimazione cardio-respiratoria. Quel giorno Giorgio forse si sarebbe potuto salvare con l’utilizzo tempestivo di un defibrillatore semiautomatico. Uno strumento salvavita imprescindibile che non ha neppure un costo proibitivo per le società sportive, «parliamo di 1.200 euro di spesa». Così da allora la prima missione svolta dalla Fondazione Giorgio Castelli è stata distribuire defibrillatori in giro per i campi di calcio della provincia italiana. «Ne abbiamo distribuiti 230. Ma per utilizzarli servono dei corsi di addestramento alla Bls-D (nozioni di rianimazione cardio-respiratoria ed utilizzo del defibrillatore) che sono stati impartiti agli operatori sportivi. Con gli amici di Ares 118-Lazio ne abbiamo formati 4.600 e non solo nel calcio, ma anche dirigenti e allenatori di altre 18 discipline. E dalla stagione 2010-2011, grazie alla collaborazione della Federcalcio, Settore giovanile e scolastico, questo tipo di formazione alla Bls-D è stato reso obbligatorio in tutta Italia per 4mila aspiranti allenatori di base». Una campagna di prevenzione unica al mondo, in linea con il protocollo medico sportivo nazionale. «Il protocollo italiano per l’accertamento dell’idoneità sanitaria alla pratica sportiva agonistica è all’avanguardia mondiale e viene continuamente copiato, perfino dagli americani. Del resto siamo nettamente più avanti degli Stati Uniti, dove basta una semplice autocertificazione per svolgere attività sportiva». Una piaga nostrana è rappresentata dal fatto che talora i ragazzi non vengono sottoposti all’accertamento sanitario indispensabile per svolgere attività agonistica. «Nel calcio giovanile siamo intorno al 30% di “evasione” della certificazione medica - informa il dottor Castelli - . Un tempo si pensava che fosse un’anomalia tipica delle realtà del Centro-Sud, oggi invece sappiamo che interessa anche società calcistiche del Nord». Giovani atleti allo sbaraglio che affrontano i possibili rischi dell’attività agonistica senza che sia stata valutata e certificata la reale idoneità fisica. Nei giorni del tam-tam mediatico per il “cuore matto” di Cassano e il suo “Pfo” il forellino perfettamente rattoppato, giova dunque ricordare che dal 2006 a oggi ci sono stati oltre 400 decessi tra gli sportivi per arresto cardio-respiratorio. «Una conta tragica e sicuramente sottostimata per l’assenza di un registro nazionale - sottolinea il dottor Castelli - . C’è un incremento costante di queste morti tra i praticanti e l’unico dato che si è abbassato è quello dei tesserati deceduti appartenenti alle varie Federazioni sportive: erano il 30%, ora sono scesi al 15%». Questo significa che “muoiono di sport” soprattutto i dilettanti puri, gli amatori, i semplici e diffusissimi sportivi della domenica. Anzi quelli che il dottor Castelli chiama le vittime del “venerdì nero”. «Sono i lavoratori che al venerdì sera dopo una settimana d’ufficio si concedono la rilassante partita di calcetto tra amici e a volte ci lasciano la vita. Dei 116 morti per arresto cardio-respiratorio registrati nel 2010, 33 sono le vittime del calcetto, contro gli 8 del calcio (22 nel podismo e 19 nel ciclismo) e l’età media si aggira sui 44 anni - il 28% ha 35 anni - ». Un fenomeno da tenere assolutamente monitorato, così come quello dei ragazzi che per le stesse patologie cardiache silenti, che poi si manifestano con la morte improvvisa, ma spesso completamente ignorate per assenza di prevenzione primaria e secondaria, muoiono nelle palestre scolastiche. «Perché non posizionare un defibrillatore anche nelle Scuole?», chiedono dalla Fondazione Castelli. Un’altra casistica poco nota è quella delle “morti da stadio”. «In uno stadio come il Meazza di Milano che ha una media stagionale di 50mila spettatori, muore per arresto cardio-respiratorio un tifoso ogni 5-10 partite. Con punte record, tipo i due decessi avvenuti in una partita ad alta tensione coronaria come un derby di un paio di anni fa. Morti queste causate dalle forti emozioni cui l’apparato cardio-vascolare degli spettatori è sottoposto durante l’incontro». Drammi evitabili, con una maggiore sensibilizzazione e un piano di gestione dell’emergenza per tutti quegli eventi sportivi a cui partecipano più di mille persone. «Tra il 20 e il 40% degli atleti colpiti da arresto cardiaco sarebbe sopravvissuto se avesse ricevuto un’assistenza tempestiva: rianimazione cardio-respiratoria con eventuale intervento di defibrillazione, entro i 6 minuti dalla caduta a terra dell’atleta stesso». Un messaggio che la Fondazione Giorgio Castelli con l’appoggio di personaggi dello sport, «il capitano della Roma Francesco Totti è con noi fin dagli inizi», sta divulgando: dai campi di calcio, alle palestre, dalle piscine fino alle piste di sci e quelle del ciclismo, affinché il pronto intervento del volontario che riporta in vita l’atleta non sia un evento miracoloso, ma il frutto di un’adeguata preparazione preventiva. «Quando si capirà che la cultura dell’emergenza è cultura di vita, di attenzione all’altro e parte integrante di quella sportiva - conclude il dottor Castelli -, allora avremo uno sport più sano che fa veramente bene alla salute e con il minor numero di vittime possibile».
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