sabato 11 gennaio 2020
Il chitarrista e cofondatore dei Subsonica ha prodotto “Watermemories”, sinfonia tratta da acqua e pietra per la Fondazione Pistoletto di Biella, ed è in tour con “Dna” dei Deproducers
Max Casacci musicista e fondatore dei Subsonica

Max Casacci musicista e fondatore dei Subsonica - Rossano Ronci

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«Quello che mi piace quando vado a catturare i suoni della natura è che lei ti rimette al tuo posto. Esci dalla tua centratura di protagonista e diventi spettatore, ed è una sensazione che ti pacifica con il mondo». Il chitarrista Max Casacci, co-fondatore del gruppo elettro pop dei Subsonica e musicista poliedrico, è diventato in questi anni un “acchiappasuoni”, capace di estrarre musica dalla natura dandole un’anima sonora nel suo studio di registrazione a Torino, quartiere Vanchiglia. Il musicista è anche in tournée attualmente con il progetto Dna dei Deproducers, collettivo da lui fondato con Gianni Maroccolo, Riccardo Sinigallia e Vittorio Cosma, che produce musica per conferemze scientifiche. Ultimo lavoro dell’artista, un affascinante e ipnotico percorso sonoro per Michelangelo Pistoletto, Watermemories (disponibile anche su Spotify), opera ispirata alla memoria dell’acqua inserita in un’installazione presso Cittàdellarte - Fondazione Pistoletto di Biella, la quale farà parte del nuovo disco del pioniere dell’elettronica Casacci composto senza l’utilizzo di strumenti musicali, ma solo con suoni concreti della realtà. Il tutto in mezzo al lancio dei festeggiamenti per i 20 anni del disco Microchip emozionale che lanciò i Subsonica nelle classifiche pop, riveduto oggi nella nuova versione Microchip temporale, che darà il via a un tour nei club della band torinese dal 3 marzo da Padova.

Max Casacci, come ha trasformato lo scorrere dell’acqua in musica?
Watermemories è il secondo movimento del lavoro, interamente realizzato da me, catturando suoni e rumori dell’acqua di Biella, dalle sorgenti ai torrenti passando per antichi luoghi sacri fino ad arrivare alle pale che hanno trasformato la forza dell’acqua in energia per il lavoro. Il sentiero accanto al torrente Cervo associava vicino alle sorgenti un percorso di luoghi di sacralità antica sui quali si sono insediate poi le forme della sacralità cristiana, dalle cappelle al santuario di Oropa. Inizialmente le prime note le cercavo mettendo delle gocce d’acqua nei bicchieri di rame dei pellegrini, ma non le ho trovate. Il brano quindi parte con suoni di sorgente e diventa, per esaltazione delle armoniche del gorgogliare dell’acqua simili a voci bianche, quasi un canto “sacro”. Tra i suoni utilizzati ci sono anche quelli di due opere d’arte: il sibilo dei bollitori d’acqua dell’Orchestra di Stracci di Pistoletto, e il concentrato sonoro che filtra attraverso l’opera di Giuseppe Penone Una barra d’aria puntata verso il torrente Cervo, all’esterno di Cittàdellarte.

Ultimamente, però, li cambiamenti climatici stanno alterando gli equilibri fra uomo e natura...
In Watermemories c’è un’esperienza onirica, introdotta dalla scansione regolare e ipnotica di una goccia che diventa il flusso stesso del fiume/torrente. Ci si immerge e lì parte il respiro profondo dell’acqua che è un suono basso molto emozionante, viscerale, quello della madre, della vita, cercando però di non sconfinare mai nell’inquietudine. Volevo che nella percezione dell’acqua fosse mantenuto questo senso di rispetto per tutto ciò che la natura può contenere in termini di energia, che può diventare anche distruttrice se il rapporto con lei non si interpreta nei migliore dei modi.

Come è nata la collaborazione con Pistoletto?

Io mi sono sempre interessato ai rumori da cittadino, da integrato urbano catturare la sinfonia del quotidiano è la cosa che mi appassionava di più. Ho iniziato con un’opera sonora in vetro di Murano alla Biennale d’arte di Venezia. Ma la prima cosa è stata far suonare la città di Torino come fosse un corpo ritmico a sostegno di alcuni dei più grandi jazzisti europei che vivono a Torino, fra cui Emanuele Cisi con cui ho scritto insieme a Daniele Mana l’album. Abbiamo creato una sinfonia della città in chiave jazz sostenuta ritmicamente dai rumori di Torino. Dopo aver fatto suonare i tram di Firenze e le auto di Formula Uno, lo scorso anno in vacanza sull’isola di Gozo con l’amico Hatisuara, che si occupa di musicoterapia, e le nostre famiglie, abbiamo scoperto che ci sono delle enormi pietre calcaree pare utilizzate sin dall’antichità, che emettono dei suoni. Inspiegabilmente suonano come fossero dei tamburi intonati in una orchestra. Come dice lo scultore Pinuccio Sciola, la roccia calcarea conserva il rumore dell’acqua. Abbiamo realizzato un pezzo Ta ’ Cenccon Hatisuara, esclusivamente con il suono di rocce calcaree. Questa esperienza di pietre e acqua mi ha dato lo spunto per produrre quest’anno un album di brani senza gli strumenti, magari divisi in due tra gli scenari della natura e gli scenari urbani. Voglio sempre che siano brani finiti e non voglio che l’aspetto strettamente concettuale sovrasti quello musicale. Io continuo a considerarmi un artista pop, che non significa piacere a tutti a tutti i costi, ma vuol dire non mettere selezione all’ingresso. E ai Subsonica fanno bene soprattutto i nostri progetti sperimentali.

Come l’avventura coi Deproducers che unisce musica e scienza?

Con Planetario ci siamo occupati dell’Universo, con Botanica della fotosintesi clorofilliana e con questo terzo capitolo Dna sulla genetica ci occupiamo della vita in collaborazione con Airc. Si parla anche del cancro, col nostro conferenziere scienziato, in un appassionante dialogo col pubblico. Tuti gli spettacoli iniziano con il ridimensionare il nostro ruolo, citando numeri e dati, dimensioni, età. Noi pretendiamo di determinare le sorti del luogo in cui viviamo. Invece essere consapevoli della realtà, ti fa sentire bene e ti fa rispettare di più i termini del contratto di affitto che abbiamo.

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