mercoledì 2 ottobre 2019
Un ritratto personale del Papa di Concesio nel documentario che andrà in onda domenica 13. Morgante: «Mitezza che colpisce». Monica Mondo: «Ecco cosa c’era dietro la sua apparente tristezza»
«Caro Montini», un Paolo VI inedito e sorprendente
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Il titolo è Caro Montini, come se, a oltre cinquant’anni dalla sua scomparsa, ci si rivolgesse a Paolo VI come a un amico, per chiedere una profezia sulla Chiesa e la società di domani, a lui che ha saputo vedere e interpretare con occhi lungimiranti quello che accadeva ai suoi tempi. Eppure è ancora lui a parlarci, con i suoi scritti, i suoi appunti, attraverso le lettere alle persone care e i ricordi e le testimonianze di chi lo ha conosciuto da vicino. Abituati al racconto del “Papa” Montini, delle sue azioni pastorali e diplomatiche, quello che ci regala Monica Mondo (con Alessandra Becciu e per la regia di Giampaolo Marconato) nel documentario che la Factory di Tv2000 ha realizzato a un anno dalla sua canonizzazione, è un ritratto inedito, intimo e personale. Che racconta il primo Papa che ha aperto la strada a una Chiesa nuova e moderna, che ha creduto nel valore della comunicazione, che ha visto prima di tutti l’ondata di secolarizzazione che stava per arrivare, dalla parte dell’“uomo”, di Giovanni Battista.

Così emerge la baldanza del ragazzo che scriveva per il giornale “La Fionda”, la determinazione, non senza timori, del seminarista, fino alla responsabilità del passo sorprendente del Pontificato. In Caro Montini – che andrà in onda su Tv2000 (canale 28 del digitale terrestre e 157 Sky), domenica 13 ottobre alle ore 19 e lunedì 14 in seconda serata – i nipoti Chiara e Fausto ne raccontano gli affetti, l’infanzia e la giovinezza a Concesio, Brescia e Ponte di Legno; l’anziano don Enrico Tosi la spiritualità: con lui si entra nella cattedrale di Brescia dove Montini fu ordinato sacerdote e nel santuario di Santa Maria delle Grazie dove celebrò la prima messa; monsignor Gaetano Bonicelli sottolinea come da arcivescovo segnò la vita di Milano e della comunità ambrosiana; Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa San Paolo, ricorda l’impegno politico e l’amicizia con Moro. Gli ultimi mesi sono la summa del suo magistero e il compimento della santità: lo testimoniano le memorie dell’aiutante di camera Saverio Petrillo e le parole del Pensiero alla morte, il suo testamento. «Il titolo del documentario Caro Montini – sottolinea il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante – è la sintesi perfetta del profilo di Giovanni Battista Montini. L’incipit di una lettera inviata a una persona di famiglia. È proprio in questo solco che abbiamo voluto raccontare la storia famigliare e privata di questa grande figura del Novecento. La sua mitezza emerge dalle lettere inedite, dalle testimonianze dei nipoti, dei compagni di seminario, degli amici che descrivono Montini come un uomo dalla grande fede in Dio. E alla mitezza si accompagna la sobrietà dei comportamenti, dei gesti, delle parole. E forse proprio il legame con le proprie radici ha reso Montini il Paolo VI che la Chiesa ha proclamato santo».

Un filo, quello con la famiglia e le origini, che non si spezzerà mai. Anzi è proprio un «rifugio», come ricorda la nipote Chiara riprendendo una lettera – «non a papà e mamma, ma ai familiari tutti» – del gennaio del 1925, quando Montini, già in segreteria di Stato, era assistente della Fuci: «Miei cari, non è poi vero che lo scrivere a voi sia un peso aggiunto ad altri; è piuttosto la diversità della vita che rende meno comunicabili notizie, impressioni, giudizi. Vivo fra due piccoli mondi: quello della segreteria e quello degli studenti. Ma il pensiero vostro quanto più resta estraneo dalle occupazioni, tanto più torna insistente come un rifugio cordiale: vorrei dirvi allora che se lavoro è perché voi me lo avete insegnato; se sono fiducioso è perché ho il vostro esempio e la vostra parola che mi conforta; se sono stanco voi sarete certo contenti di questo, perché è così che si deve finire la giornata». Un rifugio a cui approderà anche quando smise di essere don Battista e divenne Padre per l’umanità intera.

«Sono nell’appartamento pontificio – scrive nelle note personali del 21 giugno 1963 –. L’impressione è di disagio e confidenza insieme, telegrammi a casa, a Milano e a Brescia, ad alcune persone amiche, telefonate. E poi è notte, preghiera e silenzio. No, che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente, il mondo quale è, la chiesa quale è. Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo». Affidarsi a Dio, anche nelle pagine più difficili, come durante le contestazioni per l’Humanae Vitae o il momento doloroso e buio del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro: un colpo al cuore per Paolo VI. Pagine tuttavia che restano sullo sfondo del documentario, dove prevale sempre la persona. «Da ragazzina – spiega Monica Mondo – ero intristita dalla sua apparente tristezza, dal suo tormento, dalla sua fragilità. Dovevo riparare la mia tra- scuratezza. Bisognava ascoltare non solo gli storici e i teologi, ma trovare l’uomo, nei testimoni più vicini della sua mitezza, del suo umorismo, grazie a parole, immagini e filmati inediti; respirare la sua terra, Concesio, Brescia, le sue montagne di Ponte di Legno, per ambientarvi gli affetti, la fede salda, irrobustita dalla sua poderosa sapienza, il suo impegno civile, che l’ha teso protagonista di una riconciliazione politica del Paese». Forse di questo c’è ancora e nuovamente bisogno. «Citiamo sempre Sturzo e De Gasperi quando pensiamo all’impegno cattolico e ai fondamenti della democrazia nel nostro Paese, come ha evidenziato Bazoli in uno dei suoi interventi. Ora – continua la Mondo – ci metto anche Montini. Se la Chiesa ha saputo dialogare con la società, interpretarla, modernizzarsi, lo dobbiamo a lui. Alla sua determinata mitezza. Capace di guardare avanti, senza dimenticare mai le radici».

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