martedì 26 novembre 2013
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Va pur bene per il Belpaese scommettere sulle grandi città d’arte, magari da portare ancora di più sulla ribalta internazionale andando oltre l’assunto di polis museo. Ma il genius loci italiano non può essere racchiuso in qualche punta di diamante. Perché è soprattutto la provincia a essere custode della nostra identità e di tesori spesso sconosciuti, vero tessuto connettivo della Penisola. Allora accendiamo i riflettori sulla provincia, ha pensato il premier Enrico Letta. E da Milano l’altro giorno ha annunciato il progetto di designare ogni anno una Capitale italiana della cultura affidandosi a «una competizione virtuosa» fra realtà locali, ha spiegato. Quello che non aveva evidenziato e che sarà il cuore del provvedimento da portare sul tavolo del Consiglio dei ministri fra questa settimana e la prossima è che l’iniziativa sarà rivolta a capoluoghi medio-piccoli. «Vale a dire con meno di 150 mila abitanti», anticipa Monica Nardi, "storica" collaboratrice di Letta e oggi capo della comunicazione di Palazzo Chigi. Di fatto una gara fra l’Italia "minore" o, meglio, fra quella che resta ai margini dei flussi turistici.«Siamo il Paese delle cento città o, se vogliamo, delle cento capitali – afferma il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci –. Il carattere distintivo dell’Italia che ci rende unici e invidiati nel mondo è il fatto di possedere una miriade di centri che intorno al campanile e alla piazza comunale raccolgono storie straordinarie e possiedono tratti talmente riconoscibili che possono essere toccati con mano in una pittura, nella lingua, nei cibi». Però troppo pochi possono dire di aver visitato Marostica o Sansepolcro o Cingoli. «Eppure le città italiane sono, quasi per loro connotazione, di provincia – sottolinea Sergio Givone, docente di estetica all’Università di Firenze –. È qui che si trova quanto più di più vivo e vitale offre l’Italia». Anche se tutto ciò non viene adeguatamente percepito e valorizzato. Lo racconta sempre Givone: «Nella mia Vercelli, finché non è arrivato il suggerimento del direttore del Guggenheim Museum, una chiesa sconsacrata trecentesca accoglieva il mercato della verdura. Adesso, grazie alla mano dell’amministrazione comunale che ha recepito quel consiglio, è uno spazio espositivo».Un dato che rende bene l’idea di quanto sia dinamica l’Italia "locale" arriva dal presidente dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Roberto Grossi, che guida anche Federculture, l’associazione nazionale di enti pubblici e privati impegnati nel campo delle politiche culturali. «A fronte di quattrocento musei statali ve ne sono quattromila non statali che per la maggioranza sono espressione dei Comuni. Questo ci dice come il nostro sia il Paese della cultura diffusa che, comunque, va ripensata. Nell’era della globalizzazione la cultura ha assunto una fattura monumentalistica: solo turismo e poco altro. E si è allontanata dalla vita quotidiana. Invece la storia italiana mostra come le sue città abbiano prodotto uno sviluppo a misura d’uomo quando sono state laboratori culturali. Perciò oggi vanno stimolate le energie migliori perché tornino ad essere propulsori di idee».È un po’ quanto si propone di fare il «concorso di bellezza» voluto da Letta. La Capitale prescelta verrà annunciata ogni anno il 27 maggio, anniversario dell’attentato mafioso agli Uffizi di Firenze entrato nei libri come la strage di via dei Georgofili. «Ricordo ogni attimo di quella terribile notte del 1993 che ha significato cinque vite umane distrutte e gioielli d’arte devastati – spiega Paolucci, allora soprintendente del polo museale fiorentino –. Là dove la cultura italiana è stata colpita al cuore, può essere un riferimento simbolico per valorizzarla». Aggiunge Givone: «Forse non abbiamo riflettuto abbastanza su quanto è accaduto. La cultura non è soltanto festa della vita, ma anche resistenza alle potenze del male. E questa lotta fra bene e male l’abbiamo sperimentata anche venti anni fa».Dietro il progetto di Palazzo Chigi c’è il successo delle selezioni per la Capitale delle cultura europea che l’Italia ospiterà nel 2019. «Se ventuno città si sono messe in gioco – afferma la portavoce dell’esecutivo – è la prova che la Penisola crede nella cultura come elemento di modernizzazione ed è in grado di mobilitarsi. Certo, il rischio è di essere un Paese dalle mille bellezze che, però, restano senza un navigatore». Ecco l’idea di fare rete guardando alla provincia. «La Capitale italiana della cultura – sostiene Nardi – sarà una vetrina nazionale e punterà sul binomio economia-cultura che si tradurrà in una sinergia fra pubblico e privato. Il governo ha intenzione di mettere a disposizione uno stanziamento che sarà superiore a quello della Ue per la Capitale europea della cultura, pari a un milione e mezzo di euro. Ma andranno attivati anche capitali privati che, come ha detto il presidente del Consiglio, non possono essere destinati soltanto alle squadre di calcio o di basket». La prima Capitale ci sarà già fra pochi mesi. «E nel 2015 avrà un raccordo privilegiato con l’Expo gemellandosi con Milano», precisa la portavoce.La città verrà individuata da una giuria di cinque o sette membri. Non retribuiti, fa sapere Palazzo Chigi. La composizione sarà resa nota entro fine anno. E ne faranno intellettuali, ma anche economisti e sociologi. «Le città candidate – dichiara Nardi – dovranno presentarsi con un tema, un logo, una nota sui motivi della partecipazione, un programma e un bilancio di previsione». Poi via alla sfida. «L’iniziativa avrà raggiunto il suo scopo – conclude Grossi – se passerà il principio che la cultura fa parte del quotidiano delle persone e se incoraggerà i territori a ripensare se stessi nel segno di un nuovo umanesimo».
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