domenica 23 marzo 2014
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La regina Vittoria li portava raccolti in una crocchia che inconfondibilmente le con­feriva un’aria austera e severa. L’impera­trice Sissi, che i capelli li adorava intrec­ciati o sciolti, ne aveva un cura maniaca­le: vi dedicava tre ore al giorno e non c’è da stupirsene visto che erano una massa di oltre cinque chili che le arrivava alle caviglie. Per San­sone la lunga chioma raccolta in sette trecce fu un se­gno del destino, il centro vitale di quella misteriosa for­za sovrumana con cui doveva liberare Israele dai Fi­listei. Fu invece una condanna sociale senza remis­sione l’obbligo per le prostitute francesi del 1200 di tin­gersi i capelli di rosso, un marchio di inequivocabile vergogna a tutela delle donne per bene alle quali si ad­diceva piuttosto il biondo, sinonimo di bellezza e spes­so santità. Del resto i rossi non hanno mai avuto buo­na fama, a cominciare dalla ribelle Lilith della tradi­zione ebraica, che l’iconografia ha perpetuato con lunghi capelli ramati e disordinati. Con le loro zazze­re scomposte i ragazzi del ’68 misero in atto una con­testazione serrata contro la guerra del Vietnam, ma contemporaneamente in Gran Bretagna era la testa rasata la bandiera della ribellione urbana degli skinheads. Si capisce bene che qui non siamo nel semplice com­parto dell’effimero. La storia sociale dei capelli, uni­ta a quella di barbe e baffi, è un territorio vasto, tor­tuoso e contraddittorio che ha a che fare con la volu­bilità delle mode, la complessità dei comportamen­ti, l’essere e l’apparire. E in cui impera la metafora. Dunque un campo di studio sterminato che non può prescindere dal ruolo che nel tempo hanno avuto parruc­che e chiome selvagge, creste, codini, spaz­zole, rasta, caschetti, boccoli e affini. Impossibile darsi confini, le tappe forzate toccano il sacro e il profano, le teste rasa­te dei prigionieri ebrei nei campi di ster­minio e insieme le fiabe come Raperon­zolo, Riccioli d’oro o Melisenda che rac­contano di sterminate trecce color dell’o­ro o di chiome che crescono a dismisura e senza fine. I ciuffi alla James Dean o alla Fonzie, le cuffiette adottate dalle donne A­mish, il biondo platino di Marilyn Mon­roe, le ciocche ribelli come un riccio di ca­stagna di Emily Dickinson o la chioma fluente di Giovanni Battista. E tanto altro ancora: un orizzonte su cui ha spaziato la ricerca di Marilena Menicucci, giornalista e scrittrice, intitolata Presi per i capelli . La passione per la chioma tra arte, costume e società (Gallucci Editore, pagine 236, euro 15) alla scoperta di simboli e significati le­gati ai capelli che dall’estetica scivolano nell’etica e nel­l’inconscio e conducono nei meandri dell’identità. «Riflettere sui capelli – racconta – è come meditare sull’umanità che ne è portatrice. La capigliatura è u­no dei dati che più ci rappresenta, un indicatore visi­bile di realtà altrimenti invisibili. I capelli sono una car­ta d’identità personale e sociale, svelano la nostra età, tanto che gran parte delle donne, le ricerche lo con­fermano, teme maggiormente la caduta dei capelli che la comparsa delle rughe. Ma sono anche una spia dello stato d’animo in cui ci troviamo, del carattere, e delle paure che ci tormentano. Perciò dedichiamo lo­ro cure e attenzioni particolari, maggiori, dicono sem­pre le indagini, di quelle che riserviamo alla forma fi­sica. La cura con cui li trattiamo è tra i gesti che ci ren­dono umani. Del resto è la cultura che ha prodotto le acconciature». Addentrandosi nella ricerca Marilena Menicucci si è resa conto di quanti libri, poesie, film, canzoni, ro­manzi, quadri o affreschi contengano una citazione, un’allusione, una scena o un particolare che abbia a che fare con i capelli. «Prendiamo il Vangelo di Mat­teo, non è forse la misura dell’amore di Dio l’affer­mazione che perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati? È chiaro anche l’episodio, riportato da tre evangelisti, della donna di Betania che sei giorni prima di Pasqua, intuendo la solitudine di Gesù e la sua tristezza dopo avergli versato sui piedi un olio prezioso, li asciuga con i suoi capelli. È il gesto del­la generosità accompagnato a quello della cura e dell’attenzione, grazie al quale Gesù non si sen­tirà più solo». Accanto alle equazioni capelli uguale forza, se­duzione, denuncia, protesta, trasgressione, ri­bellione e autoaffermazione sta il tema del cambiamento, del passaggio sancito da un mutamento radicale di acconciatura, un ta­glio, a cui il cinema ha attinto a piene mani. «Spinta dalla frenesia di una giornata da per­sona normale, Audrey Hepburn alias princi­pessa Anna del famosissimo Vacanze roma­ne, s’infila proprio nel negozio di un parruc­chiere, uscendone come un’altra persona, con un taglio corto e sbarazzino segno della pro­pria ribellione a una vita regale monotona e ingessata. Lo stesso succede alla Sabrina del film di Billy Wilder, la giovane figlia dell’autista (ancora Audrey Hepburn) che torna in America da un lungo soggiorno in Europa con un bel taglio cor­to, che è il suo approdo all’età adulta. Anche la tra­sformazione del regno di Pu Yi in L’Ultimo Imperato­re di Bertolucci è segnata da un gesto semplice e scan- daloso come il taglio della lunga treccia, simbolo di una tradizione millenaria». Cambio di passo o di vita, il bello è che le metamorfosi si progettano e si attuano in quello spazio di libertà che è il negozio del parrucchiere in cui s’intrecciano voci, storie e corpi. E dove le mani tra i capelli opera­no strabilianti trasformazioni. «Un luogo di comuni­cazione, in cui nessuno – racconta Marilena Meni­cucci – viene lasciato solo con il suo problema. Le se­quenze di Gran Torino in cui il vecchio Clint Eastwood accompagna il ragazzo cinese a tagliarsi i capelli so­no il compendio di un’intera educazione sentimen­tale ». Come tacere infine l’orgoglio del grigio e del bianco che avanza, lasciando alle spalle il dovere delle tinture? «La scelta dei capelli bianchi è un in­dicatore della nuova forza delle donne – conclude Menicucci – oggi più tranquille sulla propria età e sul­l’invecchiamento. Sempre più distanti dalle richie­ste di rimanere giovani a oltranza nonostante il tem­po che passa e la natura che segue il suo corso».
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