venerdì 22 maggio 2009
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In un festival dove i film sembrano affogare l’attuale crisi economica in un bagno di sangue ed esprimere le contemporanee angosce attraverso raccapriccianti atti di violenza, arriva sugli schermi di Cannes il primo film che affronta direttamente il tema del collasso economico globale, A l’origine di Xavier Giannoli, a sorpresa una delle migliori pellicole della competizione. Il regista racconta la storia vera di un truffatore (la notizia era su tutti i giornali francesi più di dieci anni fa) che per alcuni mesi si spacciò per il responsabile di una ditta di costruzioni incaricata di realizzare un pezzo di autostrada nel bel mezzo della campagna. Finito quasi per caso in questo imbroglio, l’uomo appena uscito di prigione resta intrappolato nelle proprie menzogne destinate necessariamente a moltiplicarsi. Invece di approfittare della situazione, però, intascando tutto il denaro che comincia a circolare, Philippe Miller regala speranza nel futuro a un’intera comunità che da due anni soffre per la mancanza di lavoro dimostrando di poter realizzare un lavoro pubblico con molto meno denaro di quello necessario e conquistando persino il cuore di Stephane, sindaco della città e vedova da cinque anni. Naturalmente l’imbroglio verrà a galla insieme a tutte le contraddizioni che spingono il protagonista ad assecondare l’assurda necessità di costruire un’autostrada verso il nulla. «Il lavoro è un tema centrale nel film, diventato ancora più attuale a causa della crisi economica – dice il regista del film che piacerebbe sia a Cantet che a Loach – ma a me stava a cuore raccontare i bisogni umani e le relazioni tra gli individui attraverso la storia di quest’uomo che a causa di una serie di equivoci scopre una nuova dimensione dell’esistenza e la speranza di poter essere una persona migliore. Assumersi delle responsabilità sociali, ricominciare a credere nei valori familiari lo aiutano a incarnare quella promessa che molti vedono in lui». Lascia invece piuttosto freddi il film in bianco e nero di Michael Haneke, Das Weisse Band (Il nastro bianco) ambientato alla vigilia della prima guerra mondiale in un villaggio protestante della Germania. I personaggi sono un gruppo di bambini e adolescenti, le loro famiglie, il maestro di scuola, tutti turbati dagli strani incidenti che gradualmente cominciano ad assumere i contorni di punizioni rituali. L’atmosfera è inquietante, ma siamo lontani dalle provocazioni dei precedenti film del regista che riflette sull’educazione e l’ambiente nel quale germoglierà poi il nazismo. Restio a commentare i propri film, Haneke tuttavia spiega: «Quando un ideale, qualunque esso sia, si fa assoluto, allora diventa inumano ed è capace di alimentare violenza e terrorismo. Ma non bisogna pensare esclusivamente al nazismo: il pericolo è in agguato in qualunque paese e periodo storico». Delude infine il primo film da regista dell’attrice Fanny Ardant, Cendres et sang, presentato nella sezione Un certain regard, che racconta gli odi e le menzogne all’interno di una famiglia che vive a Marsiglia, vittima di un’inesorabile spirale di sangue. Una scena del film francese «A l’origine» del regista Xavier Giannoli, presentato in concorso a Cannes
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