lunedì 8 giugno 2015
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Per essere veri campioni non basta vincere o avere talento. Oltre a un duro lavoro sul campo, in palestra o in pista, ci vuole un impegno costante anche nella vita per insegnare a trasmettere agli altri i valori morali e sociali imparati facendo sport. Lo testimoniano gli atleti che hanno deciso di raccontare in un libro, "Campioni di vita", la loro avvincente storia, come quelle delle quali proponiamo in questa pagina due estratti. A cominciare dal marciatore Abdon Pamich, campione olimpico ed europeo, una “bandiera” dell’Italia sportiva, medaglia di bronzo nei 50 km ai Giochi di Roma del 1960 e d’oro a Tokyo nel 1964. La sua vicenda inizia nel 1947, quando a quattordici anni scappa, ovviamente di corsa, dalla sua città, Fiume, con il fratello maggiore, per sfuggire alle persecuzioni titine: un esodo avventuroso e una permanenza “movimentata” in un campo profughi di Novara prima di stabilirsi con la famiglia a Genova. La marcia era un modo per divertirsi. Ma lui all’inizio, incoraggiato da uno zio arbitro di boxe, voleva fare il pugile. Un sogno che svanì appena il parente venne incarcerato dai comunisti solo perché era italiano.

Vincenzo Mangiacapre (bronzo a Londra 2012 nei superleggeri), nato a Marcianise (Caserta), è un ex scugnizzo strappato alla strada e alle amicizie pericolose da un coraggioso maestro di pugilato, Marcello Bergamasco («Per me è stato come un padre», racconta) oltre che dall’affetto di una famiglia unita che lo ha sempre sostenuto, compreso lo zio malato di Sla: «Mi ha dimostrato il suo bene non per quello che sono diventato ma per quello che sono e basta». Mangiacapre ora è un simbolo di riscatto per i giovani che in Campania rischiano di rimanere imbrigliati nella morsa della camorra. Anche Vincenzo Cantatore è stato un pugile di successo (campione europeo dei massimi leggeri nel 2007): è sceso dal ring e adesso insegna la “nobile arte” ai detenuti di Rebibbia, ai piccoli ricoverati del Gemelli e del Bambin Gesù, ai giovani con disturbi psichici di un centro terapeutico di Roma. Una sfida che può sembrare paradossale quella di educare a “tirare pugni”. «Eppure – spiega – uno sport duro è proprio ciò che può respingere il male». Un modo per far sfogare l’aggressività in una gara ad armi pari, con lealtà e rispetto per l’avversario. Ma si diventa «campioni di vita» anche per aver incontrato la fede. Come nel caso di Alessia Lucchini, che gareggiò nel nuoto sincronizzato alle Olimpiadi di Sydney 200 e ora è impegnata in un progetto che aiuta soggetti affetti da autismo e sindrome di down a praticare sport competitivo: «Sono stata travolta dalle emozioni che ricevevo da questi bambini: grazie a loro ho capito il senso della vita – racconta – e ho ritrovato la fede, aiutata nel vedere papa Francesco che si china sui malati e disabili». Alessandro Campagna, pallanuotista e allenatore plurimedagliato, è uno degli artefici del glorioso Settebello. Anche per lui la fede guida la quotidianità: «Sento sempre il conforto di Gesù – dice – e prego molto anche se nella vita ho fatto molti errori e ho avuto momenti di crisi profonda; ho sempre sentito, però, una mano ferma che dall’alto mi riportava sui giusti binari». Quasi tutti i pallanuotisti che arrivano in nazionale hanno una grande sensibilità spirituale, sostiene l’allenatore azzurro: «Ci sono atleti che mi hanno chiesto di spostare gli allenamenti per poter andare a messa la domenica mattina». «Ero disperata, Dio mi ha illuminato passo dopo passo, mi ha dato la percezione che ero al mondo per fare qualcosa di grande», rivela Annalisa Minetti, mezzofondista alle Paraolimpiadi e cantante, ipovedente, vincitrice del Festival di Sanremo nel 1998. La croata Blanka Vlašic è stata campionessa del mondo indoor e argento olimpico a Pechino 2008 nel salto in alto: «Ci sono volute la fede e l’amore della famiglia per diventare una brava atleta, sono grata soprattutto a mio fratello Marin, giocatore di basket, il quale ha aperto la strada a una conversione che mi ha cambiato la vita». Il corridore Ivan Basso, vincitore di due edizioni del Giro d’Italia, racconta la sua ascesa, caduta e risalita dopo la drammatica esperienza del doping, mentre Alessandro Proni ricorda quando, nel 2010, lasciò temporaneamente le corse ciclistiche per donare il midollo osseo alla sorella malata di leucemia. Toccanti anche le storie di Lorenzo Porzio, canottiere bronzo alle Olimpiadi di Atene 2004, nonché pianista e direttore d’orchestra; del pentatleta Daniele Masala, il “superman italiano”; dello schermidore Renzo Musumeci Greco; e dell’arciere Ilario Di Buò. La prefazione del libro, con un contributo di Felice Pulici, storico portiere della Lazio, è del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Antonio Gaspari (a cura di) Campioni di vita Zenit – Ares Pagine 144. Euro 13,00

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