lunedì 10 febbraio 2014
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Il 9 febbraio 1514, come testimoniano gli annali, la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano decise di rifondere una campana. Quella sfregiata dalle artiglierie dei Francesi, durante un assedio al Castello Sforzesco. Quella stessa che, realizzata l’anno successivo, risulta oggi il bronzo più antico della cattedrale. Secondo la tradizione, i suoi rintocchi in re crescente venerano San Barnaba, l’apostolo evangelizzatore di Milano. Di certo, danno lustro a un artigiano meneghino: quel Gerolamo Busca che la fece "apparire" da un misterioso impasto di bronzo e di fuoco. Un segreto affidatogli dai progenitori, e abilmente tramandato alla sua discendenza. Fu così che il nipote, Dionisio, nel 1577 venne chiamato a fondere per la Fabbrica una nuova campana di poco più grande: con la sua nota in si bemolle e la dedica popolare a sant’Ambrogio, patrono principale della diocesi: è la mezzana dell’attuale concerto. Ed ecco il campanone, un sol molto crescente della seconda ottava. Più di 2 metri e 10 centimetri alla bocca, per un peso di oltre 66 quintali e mezzo: il bronzo più mastodontico della Lombardia. Scaturì nel 1582 dall’abilità di Giovanni Battista, fratello di Dionisio, per essere benedetto da san Carlo Borromeo. I milanesi associano i suoi rintocchi alla Vergine, titolare del "templum maior" o "metropolitana" (sottintendendo "basilica"): così le cronache antiche indicano la grande chiesa. Si sale ancora. La campanella "solitaria" appare incastonata in una guglia del terrazzo soprastante. È una "Busca" del 1553, firmata da Giovanni Antonio figlio di Gerolamo. Gli annali del duomo sono chiarissimi: il bronzo sarebbe stato realizzato «pro parrochia sanctae Teglae», e cioè per la parrocchia di Santa Tecla che ancor oggi ha sede nella cattedrale dedicata a Maria nascente. Ma non solo. Precisano i documenti: «Pro eam pulsandam pro funeralibus». Insomma: si trattava di accompagnare dignitosamente l’ultimo saluto dei parrocchiani, senza però quella solennità generata dai rintocchi delle campane maggiori. Nel 1553, naturalmente, il concerto di campane non contava solo sull’attuale elemento minore. C’erano altri bronzi. Lo narrano ancora una volta i documenti della Veneranda: dal 1387, anno della sua fondazione, al 1582, data dell’attuale campanone, è un continuo citare campane rotte o «screpolate». Dunque da rifondere, utilizzandone la lega metallica. I successivi 3 secoli di vita tranquilla per le campane, furono sconvolti nel 1866. Ma lasciamo che a raccontarcelo siano ancora gli Annali: «Addì 20 agosto è deliberata l’immediata demolizione della torre delle campane, stante il pericolosissimo e grave stato di ammaloramento». Veniva dunque a mancare il primo "vero" campanile del duomo. Che fu anche l’unico, nonostante che in ogni epoca, dal Cinquecento al Novecento, si sia fantasticato su più o meno faraoniche realizzazioni. Per questo motivo le campane, rinchiuse nelle sordine del tiburio, sono oggi invisibili e penalizzate sotto il profilo acustico. Ma non c’era e non c’è tuttora, altra soluzione. Su queste vicende fa oggi piena luce il recente riallestimento dell’archivio della Fabbrica, inaugurato lo scorso 4 novembre insieme al nuovo Museo del Duomo. Molte le curiosità. Per esempio, le ipotesi sulla nuova collocazione dei bronzi, rimasti senza campanile: si propose la torretta del Palazzo arcivescovile, ma anche il vicino campanile di San Gottardo. Poi, non si fece nulla. Una volta decisa la soluzione del tiburio, la discussione si spostò sul luogo in cui far scendere le corde. Giuseppe Vandoni, architetto della Veneranda, propose la sacrestia dei canonici. Ma gli fu obiettato che, in caso di tumulti popolari, la folla desiderosa di suonare le campane avrebbe potuto forzare la porta. Cosa sconveniente, perché in quel luogo vi era anche il Tesoro del Duomo (ora nel Museo). Soluzione: le corde furono fatte "cadere" nella cripta. Tutto risolto? Sì, ma fino al 1879, quando si iniziò a parlare dei problemi statici della guglia maggiore. Drastica la decisione del 17 maggio 1889: sospendere il suono del campanone, pensare a una nuova collocazione del concerto e, nel frattempo, incaricare la nuova fonderia milanese Barigozzi di realizzare 3 campane più piccole da utilizzarsi provvisoriamente.Ma le cose andarono in altro modo. Il 4 settembre 1891 il capitolo chiese e ottenne di ripristinare il suono della campana maggiore. Del concertino "interinale" non si fece nulla. E, alla fine, nessuno spostò le antiche campane. Il bronzo di santa Tecla venne elettrificato nel 1905. I tre maggiori, invece, lo sono dal 1932. Nel 1969, l’esito di un’analisi statica impose il totale silenziamento del concerto, che riprese a suonare nel 1986 dopo il consolidamento della grande guglia. Ma attenzione: a campane fisse, con un motore che aziona il solo battaglio. Nulla di più distante dalla tradizione dei "concerti ambrosiani", che nelle solennità prevedono l’oscillazione cadenzata di cinque o più elementi bronzei. Sta di fatto che quelle campane, nonostante tutto, suonano da 500 anni. Voce, diaframma, cassa di risonanza per quegli amici di Dio che le abbracciano nel cuore alto della cattedrale. Sì, sempre loro. Che tre volte al giorno elevano il saluto alla "Madunina". Che toccano le nuvole, che nelle mattine terse scrutano le montagne. E che ogni sera, nell’atto di trasfigurare le ansie della metropoli, immergono il loro sguardo nel sole che mai tramonta.
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